EDITORIALE – Mossa spontanea o di marketing non è lecito saperlo, ma gli U2 decisero di far uscire New Year’s Day proprio il 1° Gennaio del 1983 come singolo di lancio del loro terzo album War.

La scena è questa: c’è Bono Vox preso totalmente a scrivere odi d’amore per la moglie Ali Hewson, ma che, nonostante sia in un idillio quasi travolgente, non riesce ad ignorare la pressione di una tensione globale sempre crescente intorno alla questione polacca dei primi anni ’80. Ed è proprio da qui che nasce la figura del leader degli U2 da sempre impegnato nel social.
Erano gli anni di Lech Walesa, a capo del sindacato indipendente Solidarność a trazione cattolica e anticomunista, che a seguito della legge marziale introdotta il 13 dicembre 1981 dal generale Wojciech Jaruzelski fu arrestato insieme ad altri attivisti del suo sindacato.
Ed ecco che allora gli U2, attraverso New Year’s Day, provano a raccontare la rivolta popolare senza rinunciare però ai sentimenti che la muovono. Non doveva essere l’ennesima canzone di protesta, ma una metafora sull’inizio del nuovo anno come una nuova strada verso la libertà in opposizione alla repressione.
E’ una canzone “a colori” se vogliamo, dove ogni strofa riporta un sentimento tra la ribellione e la speranza.
Nella prima domina il bianco della neve, un non-suono che dovrebbe generare pace e serenità dall’incipit: “All is quiet on New Year’s Day” e che si proietta al ritornello in cui Bono promette alla sua amata di stare con lei ancora una volta, anche in quell’occasione.
La seconda strofa si macchia di rosso, o meglio di rosso-sangue: Bono Vox immagina uno sfondo imporporato sul quale si riunisce una folla “in bianco e nero”, pochi eletti che faranno la rivoluzione e porranno fine all’ingiustizia lasciandosi alle spalle tutto il marcio e tutto l’orrore di una guerra che tanto fredda forse non è.
La terza e ultima strofa è costellata d’oro, un prezioso che tuttavia è sempre la ragione che fa esplodere le guerre e che si macchia di sangue proprio perché intorno ad esso si scende sempre a patti con la morte. Lo dice chiaramente il testo: “Ci hanno detto che questa è l’età d’oro, e l’oro è la ragione delle guerre che facciamo”.
Una canzone contro la guerra che richiama un grido forte di libertà e identità, adatta anche all’arrivo di questo 2025 che dovrà accompagnarci. Il primo giorno del nuovo anno, dove scriviamo l’elenco di tutti i buoni propositi, nonostante la realtà che ci circonda.