#TellMeRock, 1°Ottobre 1984: The Unforgettable Fire e quegli U2 divisi tra Martin Luther King e Ronald Reagan

EDITORIALE – Spesso le canzoni nascono per sbaglio, per l’errore di qualcuno. Gli U2 erano alle Hawaii nel novembre 1983 quando, durante il soundcheck di un loro concerto, The Edge diede l’avvio a una serie d’accordi, qualcuno sbagliò e la band cercò di riprendere il filo della melodia, andando però in un’altra direzione: quella della leggendaria Pride ( In The Name Of Love)

Per fortuna il tecnico del suono Joe O’ Herlihy ebbe la brillante idea di registrare quello scarto ritmico e di accordi, così, quando si trattò di entrare in studio per le registrazioni di The Unforgettable Fire, tirò fuori quel nastro. Bono decise che ne valeva la pena lavorarci sopra.

La prima idea di testo riguardava non Martin Luther King ma, incredibile a dirsi, Ronald Reagan.

L’orgoglio era quello che emergeva nella gente dopo l’arroganza e dopo la caduta di un Presidente che aveva condotto la politica estera con troppa prepotenza.

Bono si accorse ben presto che l’idea non funzionava e spostò il tiro. Gli U2 erano andati a vedere una mostra dedicata a Martin Luther King al Chicago Peace Museum, quello era l’orgoglio vero.

Quando tutto sembrava filare per il verso giusto, arrivarono altri problemi. La base registrata allo Slane Castle era ottima, ma quando si trattò di completare il lavoro a Windmill Lane per qualche oscura ragione gli U2 non riuscivano a trovare l’ispirazione.

A pochi giorni dalla fine delle registrazioni, decisero di giocare d’azzardo e di buttare tutto quello che vevano registrato fino a quel momento. Ricominciarono da capo e in due giorni trovarono la quadratura del cerchio.

Siccome in quei giorni a Dublino c’era Chrissie Hynde dei Pretenders, le chiesero di dare una mano alle armonie vocali. Sul disco, però, fu accreditata con il nome di Christine Kerr, dal nome di suo marito Jim Kerr, cantante dei Simple Minds.

The Unforgettable Fire, pubblicato il 1° ottobre del 1984, è il quarto album degli U2. Più astratto e sofisticato del precedente War (anche grazie alla presenza di Brian Eno alla consolle), fu il disco che portò il gruppo al successo internazionale.

Gli U2 temevano che dopo War (album e tour), avrebbero potuto essere considerati l’ennesima “pretenziosa rock band da stadio infarcita di slogan libertari”. Il successo dell’album dal vivo Under a Blood Red Sky, tuttavia, diede alla band la possibilità economica per sperimentare nuove sonorità. 

Dopo un concerto al Phoenix Park Racecourse di Dublino nell’agosto 1983, una delle ultime date del War Tour, Bono dichiarò che la band si sarebbe metaforicamente sciolta per rinascere e sperimentare nuove direzioni. Nel decimo numero di U2 magazine, pubblicato nel febbraio 1984, lo stesso Bono annunciò il radicale cambiamento che avrebbe rappresentato il nuovo album in uscita. Come affermato a posteriori dal bassista Adam Clayton: «Eravamo alla ricerca di qualcosa che fosse un po’ più seria, più artistica».

La band aveva registrato i primi tre album con il produttore Steve Lillywhite, e non voleva creare il seguito di War, così sia Lillywhite che i membri del gruppo furono concordi nello scegliere un nuovo produttore discografico per non “ripetere la medesima formula”. 

La band aveva preso in considerazione l’idea di ricorrere a Jimmy Iovine, tuttavia, ritennero che l’americano non fosse adatto per le sonorità europee che avevano in mente.

Il chitarrista The Edge era da lungo tempo un ammiratore del lavoro di Brian Eno e dei suoi album ambient, oltre che dell’attività da lui svolta come produttore discografico dei Talking Heads. Così la band decise di contattarlo per produrre il loro nuovo album. Non avendo mai lavorato con gli U2, inizialmente Eno fu esitante nell’accettare l’offerta. Si convinse però quando la band gli fece ascoltare Under a Blood Red Sky. Eno si portò dietro l’ingegnere del suono Daniel Lanois e spiegò agli U2 che lui si sarebbe focalizzato maggiormente sulle idee e gli aspetti concettuali, mentre Lanois si sarebbe occupato della parte tecnica vera e propria.

 Il presidente della Island Records,Chris Blackwell, inizialmente cercò di dissuadere gli U2 dall’affidare l’incarico a Eno, in quanto credeva che proprio quando la band stava per sfondare definitivamente, Eno avrebbe seppellito la loro musica “sotto tonnellate di strati di avanguardia senza senso”.

Emblematica è la traccia di apertura: A Sort of Homecoming. Campi, neve, vento e mare;  un ritorno a casa, ma da dove? Forse da un conflitto in terre lontane, un eroe o forse semplicemente un uomo attraversa il mondo per tornare a casa, dove sta la salvezza. Un paesaggio malinconico ma illuminato dalla bellissima voce di Bono nel fiore degli anni ma soprattutto dal messaggio di speranza (See the sky, the burning rain\She will die and live again) che tra fuoco e rovine la band non manca mai di lanciare.

Paragonabile ad essa è la quarta traccie e title track, la bellissima The Unforgettable Fire appunto dove si ricordano le vittime di quel fuoco che mai nessuno dimenticherà delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Anche qui immagini di un mondo cupo e freddo devastato dai conflitti.

I conflitti di cui gli U2 parlano in quest’album non sono però solo di natura politica. Esiste soprattutto il conflitto di carattere personale, il conflitto con sè stessi. Il problema della droga in questo periodo è e sarà un tema molto caro alla band. Dublino è ormai per gran parte assoggettata al giro di coca ed eroina. Da questa situazione la band tira fuori una delle sue canzoni più belle in assoluto, Bad.

Preceduto dall’introduzione strumentale 4th July, è un pezzo talmente intenso e spirituale per cui ogni descrizione sarebbe pura eresia. Sicuramente il momento più alto dell’album, e senza esagerare forse anche dell’intera carriera dalla band.

Si parla della piaga della droga anche nella terza traccia dell’album, Wire dove il grido assume toni decisamente più rabbiosi e drammatici.

Esattamente a metà dell’album, ecco il lampo di genio, la perla nascosta che non ti aspetti. I toni si calmano, le luci si spengono ed ecco apparire Promenade. Una canzone su cui vorrei spendere qualche parola in più poiché probabilmente in pochi la conosceranno.

Promenade, che letteralmente vuol dire “lungomare”, è un affascinante bozzetto impressionista in cui vengono dipinte così come in un’istantanea fotografica le sensazioni e le figure che un paesaggio può regalare. Figure semplici e naturali. Ma proprio nella loro semplicità è dove si cela la loro essenza. Terra, cielo, mare, pioggia, e sabbia, sono tutti elementi che confluiscono a creare una perfetta armonia nel paesaggio naturale, creando così una bellissima condizione di fusione dell’uomo con esso. L’uomo, così calmo è pronto ad esplodere in ogni momento per la grandezza che sente bruciargli dentro, e quasi ipnotizzato da questa magnificenza non sembra nemmeno rendersene conto. Le emozioni lo prendono e lo lo lasciano continuamente. 

E infine appare la bellissima immagine della donna e della seduzione. Charity è una ragazza quasi angelica, che balla tutta la notte dal tramonto all’alba solo per te. Lei cattura le tue passioni più intime, e viene inseguita tutta la notte dai tuoi desideri, ma non si concede, o forse si… E’ un fiore da trattare con cura perchè sai di non doverlo perdere. Può venire, toccarti, sfiorarti, oppure volare via come un petalo trasportato dal vento. Comunque vada, con Promenade, la notte sarà un momento lungo un sogno. Un sogno in cui lasciarsi andare. Un sogno bellissimo.

Dopo Promenade, 4 th JulyBad, l’album entra nella sua ultima parte. Indian Summer Sky racconta di un pezzo d’America. L’ America che non c’è più, quella dei pellerossa. Una civiltà sterminata che urla sotto il suolo delle grandi metropoli, ma che in pochi sembrano ascoltare.

Si passa poi ad Elvis and America, forse l’unico pezzo del disco, per me, leggermente sotto i livelli di un disco assolutamente eccezionale.

Chiusura con MLK in cui si ricorda il reverendo King augurandogli un riposo di pace e serenità. Voce delicata e soave di Bono che canta quasi a cappella una sorta di dolcissima ninna nanna. Finisce l’album, finisce il sogno ma sicuramente questo sarà uno di quelli che io non dimenticherò mai.

Gli U2 riescono a elevare concetti e temi individuali ad un livello universale, dando voce a quel fuoco interiore che ci rende migliori e riuscendo, di conseguenza, a creare un album che, ancora oggi a quarant’anni dalla sua pubblicazione, è significativamente attuale perché, purtroppo, tanti uomini continuano a perder la vita, a sentirsi soli ed abbandonati in balia di mari di egoismo e paura, per mano dei loro stessi simili.

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