EDITORIALE – Dopo alcuni discreti album che mescolano il rock psichedelico “Barrettiano” al prog più consono al nuovo chitarrista David Gilmour, i Pink Floyd escono il 2 ottobre del 1970 con il loro primo grande capolavoro.
“Atom Heart Mother” rappresenta il definitivo distacco da quella musica da LSD tipica dell’ormai perso Syd Barrett a favore di nuove melodie più limpide e gradevoli e apre una nuova epoca nel gruppo e nel rock in generale.
Una curiosa copertina, nella quale è raffigurata una serena immagine rurale con uno stupendo esemplare bovino in primo piano, ci introduce immediatamente al pezzo forte dell’album. La title track, una suite strumentale che occupa l’intera facciata del vinile, costituisce uno dei più splendidi esempi di come il rock possa elevarsi ad arte maggiore: il progressive si mescola a melodie classicheggianti, strumenti come chitarre e batteria alle trombe.
La suite, alla quale collaborano tutti i membri del gruppo con l’aiuto dell’esterno Ron Geesin che si occupa dell’orchestrazione, è divisa in sei parti, nelle quali si narra musicalmente la storia dell’uomo stroncata al centro da un’esplosione, che non è altro che la terribile bomba atomica. Alla fine, però, la vita trionfa e il pezzo si conclude con il leitmotiv musicale in un crescendo che esplode definitivamente nel coro finale.
Dopo essersi immersi in un capolavoro senza tempo, si torna alla realtà; i Pink Floyd, escluso il batterista Mason, decidono di spartirsi i tre pezzi successivi.
Il lato B si apre con “If”, composta, suonata e cantata da Roger Waters, una ballata che non si discosta molto dal genere folk, nella quale il bassista si diletta eseguendo un semplice arpeggio di chitarra acustica ripetuto più volte.
È una delle canzoni più intime scritte dal bassista e si riferisce agli aspetti più difficili del suo carattere. Qualche critico ha affermato che il brano rappresenta il primo tentativo di esprimere i sensi di colpa provati da Waters per il modo in cui lui si era comportato con Syd Barrett, estromettendolo di fatto dalla band (era stato proprio lui a comunicare all’amico che il suo contributo nel gruppo non era più gradito).
Il testo del brano è impostato come l’omonima poesia di Rudyard Kipling, con la differenza che il grande poeta si rivolge al figlio mentre l’autore del brano a se stesso.
Richard Wright compone invece “Summer ‘68”, nella quale è ovviamente il suo piano a farla da padrone, oltre alla sua voce che comparirà sempre più raramente nelle opere della band, il tutto in un dolce brano dai toni nostalgici.
La successiva “Fat Old Sun” è invece opera di David Gilmour, che comporrà da solo per i Pink Floyd soltanto “Childhood’s End” in “Obscured by Clouds” (1972) prima del tardo album “A Momentary Lapse of Reason” (1987). La dolce e malinconica voce solista del chitarrista si sovrappone agli accordi, che saranno successivamente ripresi dai Litfiba nella loro “Sexy Dream”, prima di lasciare spazio allo splendido assolo di chitarra che chiude il brano.
A suggello finale dell’album una seconda gradevole suite strumentale intitolata “Alan’s Psychedelic Breakfast”, alla quale ancora una volta le forze dei quattro membri si uniscono, nella quale questo fantomatico Alan si prepara la colazione. I suoi monologhi e i suoi rumori introducono dolci pezzi strumentali, che sono ripartiti a tre riprese, i quali conferiscono una connotazione romantica al quadretto domestico. Un rubinetto che gocciola è l’ultimo suono dell’album.
Nonostante Gilmour l’abbia definito “una vera porcheria”, “Atom Heart Mother” apre quella che sarà la fase di maturità compositiva dei Pink Floyd, e se è vero che il lato B è leggermente carente sul piano musicale, vale la pena per gli appassionati di rock possedere questo album se non altro per la splendida title track.
Un album nel complesso dolce, simile nella struttura ma diverso nella forma dal successivo “Meddle”, ma sicuramente una pietra miliare nell’evoluzione di una delle migliori band di sempre.