EDITORIALE – Passata la “sbornia da gloria” post –Exile On Main St. e relativo trionfale (ed estenuante) tour, i Rolling Stones si ritrovano a fare i conti con l’altra faccia della medaglia, in quanto lo stress comincia a farsi sentire e all’interno del gruppo si manifestano alcune frizioni: da un lato abbiamo un Mick Jagger più snob che “ragazzaccio ribelle”, perfettamente calato nella parte di uomo-copertina e assiduo frequentatore del jet set insieme alla moglie Bianca, dall’altro un Keith Richards alle prese con seri problemi di tossicodipendenza da eroina; a questo si aggiunga il malcontento di Mick Taylor, che continua a vedersi “depredato” delle sue composizioni dai dispotici Glimmer Twins, ed il non troppo esaltante quadro è completo.
Per cercare di ritrovare un po’ della serenità perduta l’entourage della band propone quindi ai suoi pupilli di recarsi in Giamaica, più precisamente a Kingston, presso i Dynamic Sound Studios. Proprio questa scelta influenzerà il titolo del nuovo album Goats Head Soup -infatti la “zuppa di testa di capra” è un piatto tipico dell’Isola. L’artwork (le fotografie sono opera di David Bailey) presenta una particolarità: la foto nel retro-copertina che ritrae Richards appare disomogenea rispetto a quelle dei compagni, ciò è dovuto al fatto che il chitarrista -a causa dei succitati problemi di droga- semplicemente non si presentò alle session fotografiche; una menzione particolare la merita anche l’inner sleeve del LP, la quale altro non è se non una divertente quanto inquietante raffigurazione del titolo del disco.
Ultimo album degli Stones prodotto da Jimmy Miller, Goats Head Soup, uscito il 2 settembre di cinquantuno anni fa, si apre con Dancing With Mr. D in cui l’iniziale arpeggio di chitarra, subito seguito dalla batteria e dal basso -qui curiosamente suonato da Taylor– sfocia presto in un ritmo suadente che ipnotizza ed avviluppa l’ascoltatore, mentre Jagger vaneggia di una macabra danza con un misterioso e sulfureo “signor D” (Devil? Death? ascoltando il testo entrambe le opzioni sembrano plausibili); ottimo inizio, non c’è che dire.
Molto bella anche 100 Years Ago, le cui sonorità funky-rock sono implementate da una pregevole jazz guitar che dà un’impronta marcata al pezzo, rendendo la song sempre più frenetica grazie anche all’apporto del clavinet; ma è la terza canzone che si rivela una vera e propria sorpresa: Coming Down Again (la quale vede alla voce un ispiratissimo Keith Richards e ai cori Jagger e Taylor) è una perla di rara bellezza, una ballad stupenda sorretta dal piano di Nicky Hopkins e che trova nel sublime e sognante “dialogo” di sax a metà canzone il proprio culmine; a parere del sottoscritto il miglior brano dell’album. Il testo tratta della relazione sentimentale che lo stesso Keith ebbe con Anita Pallenberg, “soffiata” all’amico ed ex-bandmate Brian Jones, tragicamente scomparso pochi anni prima.
Tipico sound anni 70 per il rock blueseggiante di Heartbreaker, dove è la sezione fiati a farla da padrone; una grande song che divenne il secondo singolo estratto dall’album (il primo era Angie). A proposito di questa dolce ballata, basata su chitarra acustica e pianoforte, va detto che il pezzo -al contrario di quanto comunemente si crede- non si riferisce al presunto amore per Angela (la prima moglie di David Bowie) bensì a quello ben più evidente per l’eroina, come dichiarato dal suo stesso compositore Keith Richards che la scrisse durante un periodo in cui stava tentando di disintossicarsi dalla droga.
Ritmi rock con una spruzzata country per la successiva Silver Train, dove oltre allo slide del talentuoso Mick Taylor possiamo apprezzare l’armonica di Mick Jagger a imitare il fischio di un vecchio treno a vapore, un’esecuzione davvero riuscita.
Buona ma non trascendentale Hide Your Love, un po’ più interessante Can You Hear the Music, che risulta essere più sperimentale rispetto agli altri brani grazie all’utilizzo di campanelli e flauti sparsi qua e là. È con Winter che il disco si risolleva nuovamente, grazie alla magnifica interpretazione del cantante e soprattutto all’esecuzione di Taylor (anche qui, come in altre song, Keith è completamente assente); nonostante i credits della release attribuiscano tutte le composizioni al duo Jagger/Richards, Winter è una creatura del “nuovo” chitarrista che come detto si sentirà molto frustrato dai tirannici atteggiamenti della coppia leader degli Stones (a proposito, non è piuttosto singolare che la prima canzone scritta e registrata in un paradiso tropicale qual è la Giamaica abbia come tema principale il freddo inverno?).
Chiude l’album il rock n’ roll Sixties-style di Star Star, il cui titolo definitivo è dovuto alla censura della label, che ebbe da ridire sull’originale Starfucker : un pezzo trascinante, che ben si adatta a fungere da finale per l’ennesima fatica della band britannica. Da segnalare infine che durante le session dell’album videro la luce, tra gli altri, due brani che verranno poi riproposti qualche anno dopo all’interno di Tattoo You, le bellissime Tops e Waiting on a Friend.
Goats Head Soup è un disco per certi versi introspettivo e permeato di un leggero velo di malinconia, meno votato a sonorità travolgenti rispetto ad altri capitoli della band e ricco di ballad evocative: il rischio è che rimanga nell’immaginario collettivo come “l’album di Angie“, la qual cosa sarebbe una vera ingiustizia nei confronti di un’opera che, pur non essendo oggettivamente un masterpiece assoluto, rimane comunque un ottimo esempio delle capacità compositive ed esecutive dei Rolling Stones. Da riscoprire; dategli una possibilità, ne vale davvero la pena.