#TellMeRock, 21 Settembre 1981: La Voce del Padrone e la critica sociale secondo Franco Battiato

EDITORIALE – Siamo nei primi anni ’80 e l’Italia è al centro di una svolta storica non semplice, dopo gli anni di piombo e l’omicidio Moro.

Anche la musica italiana inizia a sentire forte l’influenza dei risvolti sociali e si adegua di più a quelle che sono le tendenze d’oltre Manica e oltre oceano soprattutto.

Arrivano le sonorità dance e quelle elettropop che ormai dominano le classifiche nazionali e internazionali, ma a noi italiani si sa, ci piace esagerare e per questo su quelle influenze melodiche ci mettiamo qualcosa di aulico, acculturato, vivo, filosofico e classico, sia nei testi  che nelle melodie, grazie a un cantautore catanese che di nome fa Franco Battiato e che il 21 settembre del 1981 pubblica il suo album cult La Voce del Padrone.

In verità il disco è il frutto di un percorso che Battiato aveva intrapreso fin dall’inizio degli anni 70: dopo sette dischi elettronici e sperimentali, aveva virato verso il pop nel 1979 con “L’era del cinghiale bianco” e poi, l’anno seguente con “Patriots”.

Seppur ottimi, questi due dischi non possiedono ancora quella compattezza, semplicità, limpidezza che consentiranno poi a Battiato di sfondare definitivamente.

Musicalmente il disco si presenta come “pop”, ma riaggiornato con spruzzate di quello che la scena musicale degli anni precedenti aveva prodotto, dal punk all’elettronica, dalla new wave fino alle trovate “classicheggianti” dovute in gran parte alla collaborazione stretta con il maestro Giusto Pio, autore delle musiche insieme allo stesso Battiato.

I testi sono un geniale pastiche di letteratura, musica, pubblicità, politica, filosofia, religione… e non ci è dato sapere fino a che punto si tratti di puro nonsense o di sapienti accostamenti. Certo è che Battiato non ha paura a mischiare citazionismo alto e basso: dai “Minima moralia” di Adorno (che in “Bandiera bianca” diventano “Immoralia”) ai “Figli delle stelle” di Alan Sorrenti, dal “Cantami o diva” a “Il mondo è grigio/ il mondo è blu”, di Nicola di Bari.

La critica sociale è spietata e alcuni testi, letti oggi, anticipano lucidamente e clamorosamente gli anni 80, cosiddetti del “riflusso”, con il rampantismo, la crisi delle ideologie e la rincorsa al denaro e al benessere (“Siamo figli delle stelle/ pronipoti di sua maestà il denaro”): d’altronde lo sventolio della bandiera bianca dell’omonima canzone (anch’essa una citazione, dall’ “Ode a Venezia” di Arnaldo Fusinato, del 1849) non è altro che un segno di resa da parte del cantautore nei confronti della società, qualcosa di simile alla metafora del ritorno del “cinghiale bianco” di un paio di album anteriore.

Non mancano nemmeno la denuncia sociale, seppur velata d’ironia (“…quei programmi demenziali/ con tribune elettorali”, “Quante squallide figure che attraversano il paese/ Com’è misera la vita negli abusi di potere”) e le punzecchiature, anche in questo caso più sarcastiche che convinte, verso la musica (“A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata/ A Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie”, “…e sommersi soprattutto da immondizie musicali”, “Non sopporto i cori russi la musica finto-rock la new wave italiana il free jazz punk inglese/ neanche la nera africana”).

E’ grazie a questo mix che Battiato scala le classifiche, ma convince anche la critica, sebbene nell’album, oltre ai tre brani più celebri e tuttora indimenticati (“Bandiera bianca”, “Cuccurucucù” e “Cerco un centro di gravità permanente”), siano presenti alcune canzoni più raffinate e meno giocose, come “Gli uccelli”, elegante e poetica descrizione del volo, “Segnali di vita”, riflessione sul tempo e sullo spazio che anticipa molto del Battiato che verrà, e “Sentimento nuevo”, pezzo atipico del suo repertorio, praticamente un inno all’amore fisico, seppur disseminato di citazioni classiche.

Una precisione però va fatta: “La voce del padrone” è un disco che forse non possiederà alcuna importanza storica né sociale per il mondo, ma ne ha indiscutibilmente, e parecchia, per la storia musicale e sociale del nostro Paese. Franco Battiato non riuscirà più a replicare un successo simile: già l’album successivo, “L’arca di Noè”, sembra una copia sbiadita. Meglio andrà successivamente (ad esempio con “Caffè de la paix” e, soprattutto, “L’imboscata”), con dischi però più cervellotici, che piaceranno più alla critica che al pubblico.

“La voce del padrone” resta un esempio quasi unico, nella discografia italiana, di album che è riuscito a mettere d’accordo tutti. Ed è sufficiente un ascolto, anche oggi, per capire immediatamente il perché.