EDITORIALE – Ok, diciamo che il riff iniziale, per molti, è più la sigla di Top Of The Pops piuttosto che Whola Lotta Love dei Led Zeppelin.
Ma va detto anche che questo non è l’unico controsenso che contorna il celebre brano pubblicato come singolo il 7 novembre del 1969 e che ancor prima fece da apripista per il leggrndario Led Zeppelin II pubblicato il 22 ottobre proprio del suddetto anno.
Il pezzo è uno dei più provocatori della storia del rock, e forse uno dei primi ad avere espliciti riferimenti sessuali all’interno del proprio testo. Il celebre il verso I’m gonna give you every inch of my love, con cui Plant si riferisce ai propri genitali, non soltanto è all’avanguardia ed innovativo, ma è anche sorprendentemente classico.

Classico perchè questa frase è inserita in un pezzo tendenzialmente blues, ispirato agli accordi e allo stile del musicista Muddy Waters, da cui gli Zeppelin riadattarono You Need Love, un suo brano del 1962.
Waters non la prese benissimo, tanto che insieme a Willie Dixon, autore del brano, denunciò per plagio la band inglese, con questi ultimi che persero anche la causa ma, almeno nella metafora sessuale che hanno nascosto nel testo, sono stati originali. Come si può notare infatti, dopo la causa persa, i Led Zeppelin inseriròno anche Dixon tra gli autori del pezzo.
Ed è qui il controsenso principale. Alla fine degli anni 60, i giganti del blues americano come il sopra citato Muddy Waters, Buddy Guy, Sonny Boy Williamson e Gene Vincent e i Blue Caps, non erano molto ascoltati o apprezzati, tanto che nel mercato discografico, con l’avvento di mostri sacri come Elvis e i Beatles, rischiavano di scomparire.
Jimmy Page, chitarrista dei Led Zeppelin, ha sempre dichiarato che “fondamentale per la nascita degli Zeppelin è stato l’ascolto dell’album Folk Festival Of Blues di Buddy Guy“, ed ecco allora che il merito dell’hard rock inglese, è stato quello di far riscoprire oltre oceano, e quindi in terra madre, i classici del blues e le basi musicali degli artisti del Delta (Il Delta blues è uno dei primi stili di musica Blues nato tra la fine degli anni venti e i primi anni trenta. Il genere prende il nome dal delta del Mississippi, una regione degli Stati Uniti che si estende da Memphis nel nord a Vicksburg nel sud, e compresa fra i due corsi d’acqua del Mississippi ad ovest e dello Yazoo a est).

Ed ecco perchè Whole Lotta Love può essere considerato un pezzo patrimonio anche del blues mondiale oltre che pilastro dell’hard rock.
Perchè è un canto di ribellione, di quelli che si suonano a massimo volume nella propria camera per dar fastidio ai genitori. È un simbolo di combattimento contro l’oppressione, a partire dalle sue influenze blues appunto, ma anche nel suo testo immorale sotto il vaglio della censura. Eppure, è uno dei pezzi più celebri nella storia del rock. Uno dei più riconoscibili e dei più amati.
Whole Lotta Love è una bandiera, che unisce anche quando non lo si aspetta. Mixato in tour con una lunga sezione strumentale in cui Page e il tecnico Kramer hanno provato a giocare con ogni valvola della console, a cui hanno aggiunto da vari nastri registrazioni di orgasmi di Plant, è ormai riconosciuto dalla comunità musicale come un classico.
In parte basata su ‘You Need Love’, scritta da Willie Dixon e registrata da Muddy Waters, questa versione ha ben poco da invidiare all’esplicita carica erotica del grande blues afroamericano. L’iniziale riff di Jimmy Page erompe aggressivo e rapido, subito rinforzato dal basso di John Paul Jones, altrettanto volitivo. In un attimo la voce di Robert Plant esplicita il dominio sessuale del protagonista, che dovrà impartire lezioni alla “baby” continuamente invocata, ben felice di ricambiare con altrettanta libido. È una pulsione necessaria, che ruota tutta intorno a quell’“amore” da esplorare centimetro dopo centimetro, in uno sfavillare di onomatopee e ruggiti sonori.
Ho inventato quel riff di chitarra nell’estate del ’68, sulla mia casa galleggiante lungo il Tamigi a Pangbourne. Suppongo che il mio amore iniziale per le grandi introduzioni dei chitarristi rockabilly sia stato d’ispirazione, ma non appena ho sviluppato il riff, ho capito che era abbastanza forte da guidare l’intera canzone, non solo da aprirla. Quando ho suonato il riff per la band nel mio soggiorno diverse settimane dopo, l’eccitazione è stata immediata e collettiva. Abbiamo sentito che creava dipendenza, come una cosa proibita (J. Page)
Nessuna velata allusione, quindi: solo una lunga scarica elettrica di 5 minuti e mezzo, probabilmente ispirata alle atmosfere che i quattro musicisti vivevano quotidianamente tra groupies iperattive e licenziose camere d’albergo. Sono state molte negli anni le cover di ‘Whole Lotta Love’, ma tra quelle che meglio hanno rielaborato, senza tradirlo, lo spirito originario del brano ricordiamo quella di Tina Turner del 1975 e quella di Mary J. Blige del 2010. La versione che ha però fatto davvero breccia in patria è quella dei CCS, che per anni fu utilizzata come sigla del contenitore televisivo settimanale ‘Top of the Pops’.
E c’è davvero da chiedersi come sia potuto succedere. Ma ce l’hanno fatta.
Tutta la forza, l’energia, la voglia del Dirigibile in vertiginosa ascesa sono convogliate in nove tracce brillanti e vivide che fanno di Led Zeppelin II, un album iconico e spettacolare.
Proprio il 27 dicembre del 1969, Led Zeppelin II completa la sua scalata fino al primo posto delle classifiche USA: è la prima volta che la band inglese piazza un disco al vertice sia in USA che nel Regno Unito
Successo meritato, visto che questo è il disco in cui prende piena consistenza la magica alchimia fra il profondo e fascinoso chitarrista Page, l’anarchico e strepitoso cantante Plant, l’attacco senza pietà del batterista Bonham ed il sottile e intelligente complemento del pluristrumentista John Paul Jones.
Un esempio lampante? Moby Dick…brano ispirato dal celebre romanzo del 1851 di Herman Melville… Bonham si siede alla batteria, scalda le bacchette ed esegue un lunghissimo e stupefacente assolo che in concerto veniva dilatato a dismisura, quasi per mezz’ora. Estro che “Bonzo” mette in sfogo anche in Ramble On, dove al posto della batteria usò una custodia di chitarra, uno sgabello della batteria e un cestino della spazzatura.
Leggenda narra che Jimi Hendrix, proprio dopo aver assistito a una esibizione live di Moby Dick, disse a Bonham: “Ragazzo, hai il piede destro più veloce di quello di un coniglio!”
In realtà Hendrix provava forte attrazione per Moby Dick, uno dei brani più iconici dei Led Zeppelin, una traccia strumentale che la band ha performato – non di rado – anche sui palchi fino 17 luglio 1977, al Seattle Kingdom. Nel parlarvi della storia di questa traccia strumentale, il cui titolo si ispira al romanzo di Herman Melville in cui i confini della razionalità e della pretesa umana vengono sfidati e superati oltre l’inverosimile, è impossibile non rendere omaggio anche alla grandezza di Bonham, il quale proprio oggi avrebbe compiuto 73 anni.

Le registrazioni di Moby Dick vedono il grande predominio da parte di Bonzo, che prese parte attivamente alle sessioni di questo brano rimanendo in sala molto più del previsto. La band, notando questo suo atteggiamento, decise di rendergli omaggio attraverso un ruolo primario all’interno del brano: Robert Plant, che non prese parte alle registrazioni, ebbe il compito solo di introdurre John Bonham sul palco, mentre gli altri fecero da contorno nelle sessioni.
Ciò che è emerso dai documenti sul brano è che le registrazioni erano effettivamente molto più durature della versione del brano pubblicata: si stima fossero comprese tra i sei e i trenta minuti.
Moby Dick, essendo una traccia strumentale, non può che essere caratterizzata dalla sua componente prettamente musicale. A tal proposito, sono da citare sia il riff di chitarra che l’assolo di batteria. Per quanto riguarda il primo, esso è tratto dalla versione di The Girl I Love She Got Long Black Wavy Hair, traccia poi rimasta inutilizzata, e ricorda molto da vicino il riff di Watch Your Step di Bobby Parker.
John Lennon ammise, poi, che quel riff fu ispirazione anche di un suo pezzo: I Feel Fine, singolo dei Beatles (del 1964) dove c’è un ulteriore richiamo a quel riff stesso che ha avuto un seguito incredibile nella storia della musica. Ma il riff di Parker fu di ispirazione anche per Rat Bat Blue dei Deep Purple (1973). La versione di Page suonata in Moby Dick, fu usata come sigla di Disco 2, programma della BBC Two dedicato al rock.
Fino al 17 luglio 1977, ultima occasione in cui Moby Dick fu oggetto dell’esibizione da parte dei Led Zeppelin, l’esibizione di questa canzone caratterizzò, per la band inglese stessa e per John Bonham, un motivo di liberazione e di massimo sfogo.
La maggior parte delle volte, l’assolo di batteria di Bonham ha dominato i palchi, tanto che la formazione britannica ha abbandonato la scena lasciando il solo batterista di fronte ad un pubblico estasiato.
Tanta era la forza, tanta l’energia che in alcune situazioni le bacchette si spezzavano – o Bonzo decideva di lanciarle al pubblico – e il batterista iniziava a suonare il proprio strumento con le mani…
Si, genio e sregolatezza…
Questo è l’album degli Zeppelin dove brilla maggiormente il talento di John Paul Jones, ammirevole nella linea di basso delle strofe di What Is And What Should Never Be, nel suo lavoro in primissimo piano, semi-solista, su Lemon Song contornato dai lamenti di Page e di Plant che gli cedono per molte battute tutto lo spazio, nella geniale cucitura fra glistaccati di Page nelle strofe di Heartbreaker ed infine nell’altra inimitabile, lunghissima linea di basso delle strofe di Ramble On.
E che dire dell’assoluta consistenza di due brani, i già nominati What Is And What Should Never Be e Ramble On, forse meno celebrati degli altri probabilmente solo perché ebbero scarsa presenza nelle scalette dei loro concerti (specie il secondo): sono entrambi fra le cose migliori mai fatte dal gruppo. Del primo mi piace sottolinearne lo splendido assolo di slide guitar, così sixties col suo carico di riverberi, e del secondo rimane impagabile l’assoluta dinamica, con voce e strumenti prima sinuosi e poi guidati dall’eco di pieni e vuoti della voce di Plant che ci mette una foga fantastica: fulminanti!
A decenni di distanza i critici sottolineano chiaramente come all’interno di questo disco si possa scorgere il prototipo di un nuovo tipo di rock che verrà poi chiaramente delineato negli anni 70, ossia l’hard rock e l’heavy metal.
Le canzoni di Led Zeppelin II, infatti, mostrano ritmi più veloci e energici e melodie dai tratti più aggressivi, totalmente diversi da ciò che si poteva sentire all’epoca. Non sorprende, dunque, che questo sia stato l’album che portò i Led Zeppelin ad una definitiva consacrazione artistica sia in ambito nazionale che internazionale.
Fu presente in classifica nel Regno Unito per 138 settimane e arrivò alla prima posizione il febbraio dell’anno successivo.
A oltre mezzo secolo dall’uscita di un album che ha segnato non solo una spaccatura definitiva tra l’ordinario e l’ecletticità, i Led Zeppelin sono tutt’oggi la band che insieme ai Pink Floyd ha avuto il coraggio di osare, pensando al futuro piuttosto che al presente, in una visionaria sfera di cristallo in cui estro e sperimentazione possono portarti a essere leggenda.