EDITORIALE – “Tommy” è la prima vera opera rock nella storia della musica, fatta eccezione per “S.F. Sorrow” dei Pretty Things e per qualche altro tentativo comunque ancora immaturo rispetto al lavoro degli Who; questo disco è praticamente il primo limpido esempio di concept album.
I brani del disco sono ipotetici “capitoli” di un romanzo che, metaforicamente, è il disco stesso. La “trama” è l’esperienza di Tommy, un bambino figlio di un militare inglese impegnato nella Prima Guerra Mondiale che, di ritorno dal fronte, scopre la moglie in compagnia del suo amante. L’uomo, accecato dall’ira, uccide quest’ultimo e Tommy, nascosto dietro uno specchio, assiste alla scena grazie ai riflessi dello stesso. I genitori, accortisi del piccolo, gli ordinano: non vedere, non parlare, non sentire. Di riflesso Tommy, come in un eccesso di ubbidienza condizionato, diventa cieco, muto e sordo. La vita del piccolo, già terribile a causa del triplo handicap, viene stravolta dalle azioni di suo zio, che lo rende oggetto di soprusi e violenze sessuali, e di suo cugino, che si comporta da vero e proprio bullo nei suoi confronti. Distrutto e traumatizzato, trova sollievo soltanto quando scopre il suo talento per il flipper, al quale riesce a giocare solamente grazie al senso del tatto. Il percorso di Tommy verso una vita normale viene, poi, fortemente aiutato da un medico che si rende conto della possibilità di comunicare con lui grazie allo stesso oggetto che gli tolse i sensi: uno specchio. La madre, però, in preda ad un’inspiegabile indignazione di fronte a questo parere, distrugge tutti gli specchi che trova in casa. La reazione di Tommy sarà sorprendentemente positiva: non appena gli specchi vanno in frantumi, il piccolo riacquista tutti i sensi e ricomincia a vivere come un bambino normale.
Prima di Tommy, gli Who avevano dato alla luce numerosi singoli di successo (basti pensare ad Happy Jack o all’epocale My Generation); l’idea del concept album, però, cominciava a frullare nella testa di Pete Townshend, mente della band, già da tempo, come egli stesso ha più volte avuto modo di affermare. I due lavori antecedenti a Tommy, vale a dire A Quick One (1966) e The Who Sell Out (1967), contengono rispettivamente A Quick One While He’s Away e Rael 1, ossia due brani da intendere come piccole opere rock, qualcosa di molto simile a delle “prove tecniche” per la futura uscita di Tommy.
I quattro Who, Roger Daltrey, Pete Townshend, John Entwistle e Keith Moon, sono all’apice della loro produzione. Tommy, originariamente uscito su doppio vinile, è un lavoro concreto, cinico, capace di colpire immediatamente sia per testi sia per tecnica sonora. Questa sarà la formazione principale della band inglese per molti anni a venire; i quattro, insieme, sia prima e sia dopo Tommy sono stati in grado di fare grandi cose. La loro verve viene fuori soprattutto dal vivo, con gli spettacoli di Keith Moon, che fa esplodere batterie come fossero di marzapane, ad arricchire il tutto. Celeberrimo è il disco live successivo a Tommy, Live at Leeds, da molti designato come l’album dal vivo più bello di sempre, come ho già avuto modo di raccontarvi.
L’apertura di Tommy è affidata ad Overture, ritmo trionfante dettato soprattutto dal corno francese suonato da Entwistle; questo brano va a riprendere alcuni episodi di altri brani che seguiranno nel disco ed è completamente di natura strumentale.
La storia si snoda lungo i ventiquattro brani della scaletta; la canzone più conosciuta del disco è senza ombra di dubbio Pinball Wizard, che come singolo ha raggiunto il quarto posto nelle classifiche inglesi. Questo brano è stato oggetto di moltissime cover, su tutte quelle di Elton John (utilizzata, poi, nell’omonimo film tratto dal disco) e la versione per orchestra eseguita pochi anni dopo da Rod Stewart. Come gia’ scritto è la storia di Tommy stesso che è un maestro del flipper. Townshend è impressionato dall’abilità del ragazzo, notando che nessuno lo ha mai visto perdere una partita. Il cantante si chiede come faccia Tommy a essere così bravo e lo mette su un piedistallo come il mago del flipper per eccellenza. La canzone è una celebrazione dei successi del ragazzo, che mette in evidenza la sua dedizione e determinazione di fronte alle disabilità fisiche e anche umorali.
Altro punto emozionante del disco è la sequenza composta da 1921 e Amazing Journey, brani di pregevolissima fattura e di intensa carica emotiva. D’altro canto, come sottolinea anche Pete Townshend, autore di quasi tutto il disco, questo album è concepito per essere ascoltato come una sola, lunga canzone e non per singoli episodi; sarebbe, dunque, estremamente riduttivo ed errato analizzare brano per brano il disco che, invece, va discusso nella sua totalità.
Townshend mette dentro Tommy quello che più lo attanaglia da una vita: l’isolamento più assoluto, il dover vivere alienato dal resto del mondo, un mondo che forse lo accoglierebbe ma del quale lui non fa e non vuole far parte. Il lieto fine, la “vita normale”, è quello che lui si auspica di vivere (o che, forse, sta già vivendo), grazie ad un talento naturale che non può essere prevaricato in nessun modo. Tommy si libera anche grazie al suo talento; così Townshend, con la sua chitarra, le sue canzoni, i suoi Who, lotta per arrivare alla sua libertà interiore. Anche tecnicamente Tommy è un disco straordinario; le atmosfere sono puro rock, le chitarre elettriche emergono in maniera decisiva e le percussioni di Moon sono spesso incisive e marcate. Bellissimo anche il canto di Daltrey che dà spesso voce alla disperazione ed alle emozioni di Tommy.
Un disco notevole, dunque. Un capolavoro per certi versi difficile da realizzare, soprattutto in un’epoca in cui non c’era ancora stato nessun esempio del genere. Come in tutte le cose, quando si è innovativi si incappa in difficoltà e si corrono rischi. Gli Who hanno, di fatto, inventato l’opera rock ma il loro (epocale) cambiamento non ha intimorito il pubblico che ha reagito alla grande, capendo la grandezza di un disco che, di lì a breve, avrebbe cambiato di fatto la storia della musica moderna.