#TellMeRock, 24 Febbraio 1975: I cinquant’anni di Physical Graffiti e il riscatto degli Zeppelin

EDITORIALE – Il mondo del rock è davvero strano. Il festival più famoso di tutti i tempi, Woodsotck, non si è tenuto a Woodstock ma a Bethel, e una delle canzoni più famose di tutti i tempi, Kashmir del Led Zeppelin, non parla di India ma di Marocco.

Nel 1973 Robert Plant stava attraversando la parte meridionale del Marocco, quella che conduce da Guelmin (detta la porta del deserto), a Tan –Tan. Niente a che vedere con il Kashmir, regione settentrionale del subcontinente indiano che si trova tra il Pakistan e l’India, entrambi i quali rivendicano la sovranità sull’intero territorio, mentre la Cina ne controlla una piccola porzione.

Plant, come del resto gli altri Zeppelin, nel Kashmir non era mai stato ma, forse per via della strada in continua salita, pensò al Kashmir, che si trova in una zona montagnosa, e intitolò così il brano.

A dispetto dello scarto geografico il pezzo, anche per la sua straordinaria capacità di raccontare un non luogo quale il deserto effettivamente è, rimane una delle pagine più belle nella storia non solo dei Led Zeppelin, ma di tutta la parabola rock, sospesa tra Oriente e Occidente, tra il rock e le sue pareti dilatate (dura otto minuti e mezzo), tra la realtà del viaggio e le visioni del miraggio.

Physical Graffiti esce il 24 febbraio del 1975, dopo due anni di silenzio della band che cerca, in parte, il riscatto dopo che l’album precedente Houses Of The Holy è stato snobbato dalla critica. I cosiddetti pezzi magazzino sono tanti, e così gli Zeppelin decidono di puntare sull’abbondanza e la ricchezza. Ne esce un album doppio, ispirato un po’ da tutto, dai brani d’atmosfera come la suddetta Kashmir e No Quarter, al funky rock di Trampled Underfoot e che recupera pezzi lasciati fuori da precedenti lavori, finendo per essere una sorta di ricapitolazione della carriera della band fino a quel momento.

I Led Zeppelin fanno i conti dunque con la loro popolarità e nomea, rendendosi conto, con Houses Of The Holy, di non essere dei Re Mida che qualunque cosa loro possano toccare è facilmente trasformabile in oro. Plant e Page tornano a guardarsi intorno e a cercare temi sociali folgoranti e visionari, mentre Bonzo Bonham  e John Paul Jones pensano alle ritmiche.

Da Houses Of The Holy viene ripreso, in un primo momento, il capolavoro No Quarter, canzone che racchiude in sé due temi fondamentali che si  alternano: il primo è suonato dal piano elettrico con effetto phaser, il quale ha un suono che fa ricordare l’acqua, dove nella seconda e terza ripresa Plant canta la strofa; il secondo è un riff di chitarra effettata composto da Page sul quale la canzone va a sfumare. Inoltre appena prima della terza ripresa Jones suona un assolo di pianoforte accompagnato dalla chitarra elettrica. No Quarter compare anche nel film dei Led Zeppelin The Song Remains the Same, dove l’assolo è molto più lungo che nella canzone di studio.

Di capolavori “folgoranti” in Physical Graffiti, personalmente, ne conto almeno tre: il primo in ordine di apparizione è ”The Rover”, irresistibile rock blues fatto di un pedale di basso di John Paul Jones che veicola uno di quei riff scuoti viscere, profondo e conturbante, che il maestro Jimmy Page in quegli anni riusciva ad estrarre come nessun altro dalle sue dita. Veramente soprannaturale la componente magica e suggestionante che questo chitarrista è stato capace di infondere a molta sua musica, suoni e note che ti scavano dentro e ti rivoltano come un calzino, con un che di ancestrale, di destabilizzante, di misterioso, di paranormale. “The Rover” è esempio di tutto questo, ci martella senza pietà e senza poter mai stancare, è il rock nella sua forma perfetta.

Seguito subito da un esagerato e supremo esercizio blues, gli undici minuti e passa di “In My Time Of Dying”. Il punto di partenza è sempre quello, le vecchie cose di qualche nero americano della generazione precedente, ma ciò che in altre mani potrebbe essere materia di vuoto scopiazzamento, in quelle dei Leds assurge a impareggiabile resa dinamica ed emozionale. Page infila il ditale slide all’anulare sinistro e accantona la Gibson Les Paul per la più pulita e sgranata Danelectro, che gli consente nenie più sottili e filamentose. La macchina ritmica si mette in moto senza fretta, intanto che Robert Plant recita il suo testo, ma il meglio viene dalla lunga sessione strumentale incentrata su chitarrista e batterista, di un bello da far venire le lacrime agli occhi: sotto il bombardamento inaudito del prode ragazzo di campagna Bonzo, l’alchimista di città Page esegue un riff dietro l’altro, uno più bello dell’altro, intercalati da assoli slide semplici e luciferini. Così diversi, così nati per suonare assieme questi due grandissimi strumentisti, una fortuna che si siano incontrati. I suoni sono da paura, l’essenza del rock blues è, anche qui, al suo massimo valore di picco, il Dirigibile è coeso, pesante, drastico, un’assoluta macchina rock. Più che giustificata e per niente logorroica l’estensione abnorme del brano.   

Un po’ come fecero gli Stones per I Miss You, in cui adeguarono il loro rock alla black and soul molto in voga di quei tempi, così gli Zeppelin cedono al funk stile Motown di quegli anni, per la travolgente Trampled Underfoot , un rock ritmato e forte in cui Jones ha modo di lavorare in controtempo di Clavinet.

Physical Graffiti semplicemente conferma la superiorità dei Led Zeppelin tra le band hard rock. Un album di forza, idee e riscatto, in cui la band britannica  comprende a pieno la metafora portante sulla “guerra che si vince in tempi di pace”. Le idee vengono fuori meglio se in tranquillità e non sulla frenesia di salire e scendere da un palco (anche se Led Zeppelin II, nato così,  è un album eccezionale). C’è la presa di coscienza che in quegli anni l’hard rock ha preso nuove strade e sta maturando sperimentazione in gruppi fenomenali del calibro di Deep Purple (che nel 1972 pubblicarono Machine Head), e Black Sabbath, che con Paranoid portarono il rock “nelle segrete e buie stanze”-

E’ la maturità degli Zeppelin Physical Graffiti e, come scrisse Rolling Stone nel 1975,  “È vero, ai Led Zeppelin mancano la spavalderia degli Stones e l’energia degli Who. Ma con Physical Graffiti i Led Zeppelin interpretano il rock con creatività, arguzia e un innegabile impatto”.

Curiosità: La copertina riporta la foto della facciata di un palazzo urbano ai numeri 96-98 di St. Mark’s Street (East Village, New York) (fronte e retro). La copertina, con un gioco di incastri dovuto alla fustellatura, permetteva di “aprire le finestre” e guardare all’interno degli appartamenti dove si trovavano foto di personaggi celebri, quadri famosi, istantanee del gruppo ritratto in momenti di svago, oltre alle lettere che formano il titolo dell’album.

Da questo album in poi, tutti i dischi del gruppo includono l’immagine di un angelo, raffigurato in un dipinto del 1869 del pittore statunitense William Rimmer e intitolato Evening, Fall of Day. Anche il logo della Swan Song Records, etichetta discografica da loro stessi fondata nel 1974, ha la stessa immagine.

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