EDITORIALE – Questo è il luogo dove le promesse fatte da Greetings From Asbury Park e The Wild, The Innocent & The Street Shuffle vennero mantenute.
Questo è il lavoro che infine giustificò le iperboli dei critici e la leggenda cresciuta attorno ai concerti del “Boss”: Bruce Springsteen.
Born To Run, 25 agosto 1975, è un disco di rock classico e un classico della musica rock allo stesso tempo.
Il primo con la E Street Band in formazione tipo, con Roy Bittan e Max Weinberg dentro a tempo pieno e Miami Steve Van Zandt a riscaldarsi a bordo campo, per poi entrare e segnare subito un punto decisivo con l’arrangiamento fiatistico di Tenth Avenue Freeze Out.

Il primo album da cui non si potrebbe fare a meno di nulla, nonché l’ultimo dell’era Apple, il tempo degli equivoci e il primo dell’era Landau.
Album tra i più “cinematografici” che siano mai stati incisi, per le sue storie, i suoi personaggi e i suoi aneddoti.
Partendo dalla title track, quella Born To Run che ha cambiato la vita e il modo di concepire il rock per molti di noi. Springsteen la scrisse seduto nella sua stanza da letto, a Long Branch, nel New Jersey, nel 1974. Parla di un ragazzo e di una ragazza nati per correre e fuggire da una città “che ti spezza le ossa”.
E all’inizio non è importante dove vanno, ma il fatto stesso che vadano. E non è importante cosa cerchino, è importante che cerchino qualcosa e che, anche senza sapere di cosa si tratta, faranno di tutto per conquistarla senza perdere la fede in se stessi e nell’amore.
E’una delle canzoni più struggenti e romantiche della produzione di Springsteen, anche se è un po’ mascherata dalla struttura rock, come se un rigurgito di pudore e timidezza avesse impedito a Bruce di raccontare la fuga in una ballata. A un certo punto della sua parabola, Springsteen ha deciso di cantarla in versione acustica, per raccontare l’altro lato della corsa e anche per dire che si può continuare a cercare se stessi anche senza possedere più l’impeto giovanile, perché chi è nato per correre non invecchia, perché il rock, come ricorda sempre Bob Dylan, è la musica di chi può rimanere per sempre giovane.
Raro caso di canzone nata dalla chitarra e terminata al piano, Born To Run e stata insignita di mille onorificenze. La più buffa risale al 12 giugno 1979, quando il New Jersey la elesse “Inno rock giovanile dello Stato”, cosa davvero curiosa visto che la canzone parla di due ragazzi che il New Jersey lo vogliono abbandonare…
Altro capolavoro di questo epico album è certamente Thunder Road, e la genesi del brano l’ha spiegata lo stesso Springsteen dal palco del Winterland di San Francisco il 15 dicembre 1978. “ C’era una pellicola di Robert Mitchum , la storia di un contrabbandiere in fuga verso sud. Non ho mai visto il film, ho visto solo il manifesto nella sala di una teatro e quando ho scritto questa canzone ne ho preso il titolo. Non ho mai creduto ci fosse un posto come quello di cui parlo nel brano, ma una volta eravamo in viaggio attraverso il deserto, diretti in auto verso il Nevada. Ci fermammo vicino a una casa di indiani, costruita proprio di fianco alla strada, c’era una grande fotografia di Geronimo, appesa dai proprietari lì davanti. E c’era un cartello con la scritta: Questa è una terra di pace, amore, giustizia e nessuna pietà. E indicava una piccola strada polverosa che si chiamava Thunder Road”.
Il pezzo, che in origine si intitolava Wings For Wheels, è uno dei brani più epici del Boss, il modo più straordinario per aprire l’esodo di Born To Run. La protagonista si chiamava Angelina e poi Chrissie, prima di diventare Mary, un nome che Springsteen avrebbe poi più volte ripreso in altre canzoni, tra le quali la grandissima The River.
Ma nel disco ci sono anche nove minuti e trentatrè di pura magia, un racconto metropolitano del 1975 dettato da toni epici e sottolineato da un sax di Clarence Clemons irripetibile e che, per stessa ammissione del suo autore, gli ha cambiato la vita.
Jungleland è forse la canzone più privata e intima di Springsteen, anche se apparentemente non parla di lui. Racconta in realtà il mondo interiore che il Boss aveva dentro un attimo prima della pubblicazione di Born To Run. Tutto, ogni minimo dettaglio, appartiene all’universo di Bruce, quello reale e quello sognato, dalla poetica ai dettagli sonori, e non è un caso che persino il sopra citato leggendario assolo di sax, sia stato suggerito dallo stesso Springsteen a Clemons.
La storia di Jungleland ha più sentieri: c’è l’epica notturna e romantica dei ragazzi che si danno appuntamento ad Harlem. C’è la storia d’amore tra Magic Rat e la ragazza dai piedi nudi che siede sul cofano della Dodge e che cerca di sognare una vita diversa, fino a quando lui morirà come un disperato qualunque in un tunnel di New York.
C’è un’evocazione in West Side Story, con le gang che si danno battaglia non più con i coltelli ma con chitarre che splendono come lame e che fanno sanguinare il rock and roll che ti salva la vita. C’è la morte che si mescola al sogno, perché c’è sempre in prezzo da pagare quando sogni troppo forte. C’è il New Jersey che si fonde a New York, perché i due stati sono separati solo da un tunnel, ma è proprio in un tunnel che Magic Rat muore perché dopo i biscotti caldi dell’adolescenza, c’è sempre una giungla che lascia sull’asfalto i segni bruschi di una frenata terribile.
E’ un viaggio in musica Born To Run, un miracolo di sintesi tra storie e personaggi che la musica mette insieme: Phil Spector e Bob Dylan, Roy Orbison e i Creedence, John Lennon, Pete Townshend, e il rock degli anni 50 e il soul e il rhythm n’blues degli anni 60, oltre a suggestioni latine e jazz.
Tutto insieme, in un fluire di rimandi armonioso ed emozionante accompagnato dalla voce rauca e appassionata del Boss Bruce Springsteen.