EDITORIALE – C’è un qualcosa di sensibile e tangibile che lega come un filo conduttore i Red Hot Chili Peppers di Under The Bridge e quelli di Scar Tissue. Quel qualcosa ha a che fare con il cantante Anthony Kiedis.
Se il pezzo del 1992, che divenne la colonna portante del capolavoro Blood, Sugar, Sex, Magik, racconta “i giorni dell’eroina” vissuti tristemente dal cantante dei Peppers sotto il ponte di Los Angeles, Scar Tissue, pubblicata come singolo apripista dell’iconico Californication il 31 maggio di ventiquattro anni fa, parla di rehab, della fatica di disintossicarsi e, contemporaneamente, della fatica di essere “i diversi”.
Anche uno dei primi chitarristi, Hillek Slovak, era morto di overdose nel 1988. Il batterista Irons lasciò il gruppo poco dopo, affermando: “Non voglio far parte di qualcosa in cui i miei amici muoiono”. I due vennero sostituiti da Chad Smith e John Frusciante, che però a sua volta iniziò ad avere problemi con le droghe. Lasciò il gruppo e venne sostituito con Dave Navarro, almeno fino al ‘97, quando, appunto tornò a registrare coi ragazzi.
Scar Tissue anche per questo motivo e per tutte queste vicende, rappresenta una sorta di memoriale di redenzione. Una voglia di condividere la propria vita col mondo intero, mondo che però ti lascia un segno indelebile nella mente e nel cuore, una cicatrice profonda, non ancora rimarginata.
Anthony Kiedis incide così la sua esperienza di uomo in questa canzone, rivelandosi una persona come chiunque, attaccato dalle tentazioni e dai vizi umani, vizi che lui vuole lasciarsi alle spalle, ma non dimenticarli.
Prende il nome “Scar Tissue” anche l’autobiografia di Anthony Kiedis, scritta in collaborazione con Larry “Ratso” Sloman, pubblicata nel 2005. Nella biografia del vocalist dei Red Hot Chili Peppers, Anthony ci racconta tutta la sua vita, dalla nascita fino al periodo della sua disintossicazione definitiva, ossia dopo Californiacation.
Nel libro vengono descritte in maniera dettagliata, e a volte pesante, le principali situazioni che il protagonista affronta durante la giovinezza. Queste caratterizzarono gran parte della sua vita: la droga ed il sesso. “Da ragazzo ero sempre fumato, andavo alle feste, giravo sul mio skate e rubavo nei negozi… Volevo sempre fare tutto quello che non bisognava fare“, scrive il frontman dei Peppers nel suo libro, ma non mancano anche momenti di grande intensità, momenti di grande commozione. Man mano che l’artista scrive, si assiste ad un incremento delle riflessioni sulla sua vita e anche ad una diminuzione dei racconti legati al sesso, che spesso risultano pesanti.
Bisogna inoltre considerare che tutto ciò che è raccontato nel libro è molto importante poiché permette di capire la psicologia del protagonista che non risulta mai statica. Attraverso la narrazione si possono poi capire i meccanismi della band nel comporre i propri brani, ma soprattutto ciò che ha permesso la nascita di testi come Under the Bridge, Scar Tissue o Californiacation.
Chad Smith, batterista dei Red Hot Chilli Peppers, dice del brano: “credo che Scar Tissue descriva il bisogno di avere qualcuno a fianco”, e riprende anche, in un certo qual modo, il Roger Waters di The Final Cut: “Se ti mostrassi i miei difetti, se non potessi essere forte, dimmi, mi ameresti ancora?”.

Scar Tissue è così un inno alla vita, la ripartenza dei quattro musicisti che sono tutti per un motivo o un altro reduci da riabilitazioni da percorsi di droghe. Le cicatrici sono quindi più o meno visibili, nasconderle sarebbe stato difficile, e allora tanto vale accettarle e ripartire da quelle. Le parole del brano sono un tributo di Anthony Kiedis al suo amico John Frusciante, che ha superato 8 overdose e 7 anni di eroina, e poi è tornato a suonare con i suoi migliori amici. Sembra che il cantante si metta nei suoi panni, quasi per scusarsi di non aver saputo interpretare il malessere del compagno. Ma sono tutti, i Red Hot, ad essere convalescenti, ad aver bisogno di un momento che li rigeneri oltre che come artisti, anche come esseri umani.
Kiedis racconta che quando registravano la canzone, uscendo dallo studio, mentre gli altri continuavano a suonare, ha alzato lo sguardo al cielo e ha visto un falco. Ha chiuso gli occhi e ha provato un forte benessere interiore, come se tutto si fosse risolto, come se tutte le sciocchezze che lui e gli altri membri avevano fatto fossero svanite. John era ritornato nel gruppo ed era sopravvissuto.
Da qui nasce la famosa frase “With birds I’ll share this lonely view”, che però non ha nulla a che vedere con il romanticismo. È da intendersi quasi come una richiesta di aiuto, un grido di chi si sente forse un po’ diverso dagli altri e non riesce più a stare con gli altri. Ed è proprio nel momento in cui il cambiamento su sé stessi diventa così forte e alienante, che si ha bisogno di aiuto e di qualcuno che non ci lasci andar via
Forse dall’alto, dal punto di vista degli uccelli può sembrare tutto diverso, come se una prospettiva alternativa donasse alle cose un significato differente, forse meno doloroso. Ma a volte non basta volere che le cose si sistemino perché vadano davvero a posto, a volte serve crederci davvero in maniera totalizzante. Le sconfitte, con le loro cicatrici più o meno profonde, sono sempre dietro l’angolo, ma avere la consapevolezza di ciò permette forse di vivere e apprezzare i piccoli momenti di serenità.
Le emozioni che genera questo pezzo, non arrivano però solo dall’ascolto. Il video, infatti, in ogni singolo fotogramma racconta il travagliato viaggio dei ragazzi fin dalla prima immagine di quella mano fasciata, ferita, forse ancora sanguinante. La mano è di John Frusciante, non a caso messo inizialmente alla guida dell’auto, per affermare una leadership sonora di cui gli altri componenti avevano sentito la mancanza. Sono anche loro immortalati ammaccati e doloranti, in un parallelo tra le loro vite private, tra divorzi, abusi di sostanze, depressione.
Il video è stato girato al tramonto nel deserto del Mojave, quel deserto che ha al suo interno anche la Valle della Morte, su una Pontiac Catalina del ’67, conciata peggio di loro. I quattro appaiono tutti feriti ed incerottati, mentre viaggiano in un’auto arrugginita. Sembra che stiano tornando da una rissa o da un inseguimento dove sono stati picchiati brutalmente. Sono feriti e pieni di bende. Flea (il bassista) ha un cerotto sul sopracciglio sinistro, Chad Smith (il batterista) ha un colpo alla testa, che è completamente fasciata. Anthony Kiedis ha l’orecchio destro ferito, uno zigomo ammaccato e una ferita alla pancia.
Tagliando in due il deserto a bordo di questa auto fatiscente, i membri della band si mettono a giocare in una discarica con pezzi di strumenti esplosi e cercano di liberarsi delle cose meno necessarie. Anthony addirittura rovescia sabbia da un contenitore, quasi stesse disperdendo le ceneri di un morto. In queste scene ci sono citazioni dell’incendio che distrusse la casa di John Frusciante, bruciata tre anni prima, mentre lui era completamente inerme e nel quale restò gravemente ustionato.
Infine si mette a suonare una chitarra con il manico rotto ed esegue l’assolo finale. Il tutto si conclude con il tramonto e lui che getta via la chitarra. Anche nel video quindi si ritrova tanta nostalgia e sofferenza. È vero, il brano parla di rinascita, ma è una rinascita che si porta dietro un dolore dell’anima. Come spiegò in un’intervista lo stesso John Frusciante.
«Era un viaggio dentro noi stessi, ci ritrovavamo dopo esserci persi, ci eravamo insultati, feriti, calpestati eppure eravamo lì a spiegarci e a dire che la nostra era una famiglia che tra mille casini aveva ancora le sue cose da dire. Il regista scelse il deserto perché nel deserto ci eravamo persi dopo gli eccessi di “Under the Bridge” e nel deserto iniziava la nostra redenzione. Eravamo feriti, incerottati, malconci. La vita ci aveva fatto del male ma eravamo vivi e insieme. La parte finale del video, quando la mia chitarra si rivela essere un rottame e vola via, è quello che preferisco.»