#TellMeRock, 25 settembre 1972: Vol. 4, i Black Sabbath alle prese con la sperimentazione

EDITORIALE – Il quarto lavoro in studio dei gloriosi Black Sabbath fu pubblicato il 25 settembre 1972 con il semplice titolo Vol 4. Il disco in questione avrebbe dovuto intitolarsi Snowblind ma la casa discografica si oppose fermamente perché la parola snow (neve) è in realtà un esplicito riferimento alla cocaina (e i nostri ne consumavano a iosa!). Da evidenziare, in merito, che c’è una voce nei crediti, sia del disco che del CD, che riporta allusivamente la frase We wish to thank the great COKE-Cola company of Los Angeles (il lavoro fu registrato in quella città).

L’album, pur permanendo nel contesto del consolidato doom & hard delle origini, presenta alcune interessanti variazioni musicali grazie all’inclusione di elementi progressive rock, genere molto in voga in quel periodo storico, che conferiscono ad alcuni brani una minore cupezza ed una maggiore melodia rispetto a quanto realizzato dal gruppo fino a quel momento. Per tale motivo qualche critico ed alcuni fans storsero il naso ritenendolo un “cambio di rotta” inopportuno che diminuisce quella ruvidezza propinata dalla band nei tre dischi “capolavoro” precedenti (Black Sabbath, Paranoid e Master Of Reality). A prescindere dal fatto che il livello qualitativo delle canzoni che compongono quest’album è assolutamente di elevato livello, secondo me anche al pari di quelle precedentemente realizzate, la linea intrapresa dai Black Sabbath verrà efficacemente riproposta nel successivo fortunato album Sabbath Bloody Sabbath.

La lunga, quasi psichedelica Wheels Of Confusion/The Straightener ha il compito di aprire il disco: introdotta da una lamentosa chitarra, il ritmo sale gradatamente d’intensità poggiando su un riff ripetitivo ed alternando parti lente ad altre più veloci; decisamente sugli scudi l’assolo veloce di Iommi e bellissimo il finale della piacevole song che evapora fra un inquietante eco di chitarra.

Segue Tomorrow’s Dream, un vibrante hard rock con un suono grezzo di grande efficacia del nostro IommiChanges è il brano più suggestivo, a mio avviso tra i più belli, di questa release ed è quello che inizia ad evidenziare un certo cambiamento stilistico del sound: si tratta di una triste ballata, sorretta dal suono del pianoforte e del mellotron nonché dalla malinconica voce di un ispirato Ozzy, che parla di un amore irrimediabilmente perduto, davvero strappalacrime:

Mi sento così infelice
Mi sento così triste
Ho perso il migliore amico
che abbia mai avuto
Era la mia donna
L’ho amata tanto
Ma ora è troppo tardi
L’ho lasciata andare

FX è una strana composizione in cui il suono di una chitarra si unisce ad altri rumori distorti inquietanti ed oscuri. Supernaut è un grande pezzo molto diretto che colpisce l’ascoltatore dotato di un memorabile riff che ne fa uno dei brani migliori dei Sabbath; ottima la prova di Ward alla batteria.

Passiamo così a Snowblind che, come suddetto, avrebbe dovuto essere la title track; si tratta di un hard rock sostenuto da un riff da sballo e dai contorni melodici e ricercati, che si snoda su parti lente ed altre più sostenute; brano ottusamente criticato al pari di Changes per discostarsi troppo dai cliché tradizionali della band. Il titolo si riferisce alla cocaina sebbene c’è chi sostenga anche l’ipotesi che possa ispirarsi al contenuto di un fumetto intitolato L’Eternauta nel quale la “neve” si identifica nelle ceneri radioattive nucleari.

Grande traccia Cornucopia, dall’inizio doom per alternare poi fraseggi veloci ad altri lenti fino all’intenso finale. Laguna Sunrise è un pezzo evocativo acustico con tanto di violino avulso direi dal contesto della produzione dei Sabbath e per questo anch’esso criticato dai fans. In St. Vitus Dance, pezzo forse un po’ breve e disincantato che avrebbe meritato una maggiore durata al fine di avvalorarlo e completarlo viste le ottime premesse, c’è da esaltare ancora una volta il riff magnetico di Tony Iommi e da segnalare l’uso efficace del tamburello nel refrain.

L’angosciante Under the Sun/Every Day Comes & Goes si apre nel segno del doom con un riff oscuro per poi modificarsi su un’altra ritmica e concludersi con un solo di chitarra esaltante; potente e stridula la voce di Ozzy; l’assolo finale di Iommi ci porta alla conclusione del disco.

Album certamente atipico per i motivi summenzionati ma, personalmente, l’ho sempre trovato meraviglioso.
Sono stato sempre incline ai tentativi di innovazione portati avanti seriamente dalle varie band anche per non scadere nella ripetitività e persino i Led Zeppelin, dopo la pubblicazione di III, furono ciecamente accusati di tradimento da taluni ortodossi che forse non ci sentivano bene!

In conclusione posso affermare, senza tema di smentita, che Vol 4 sia ancora all’altezza dei suoi illustri predecessori, anche a oltre cinquant’anni di distanza.