#TellMeRock, 26 Agosto 1999: Il Microchip emozionale che cambiò per sempre i Subsonica

EDITORIALE – Ventiquattro anni, tra mutamenti musicali, climatici e sociali, in una Torino che però mantiene in sé il marchio innato di città laboratorio.

Microchip Emozionale dei Subsonica, uscito il 26 agosto del 1999, è ancora oggi considerato un album cardine per le sorti della musica italiana.

Il disco, piazzato da Rolling Stone al 16° posto nella Top 100 dei dischi italiani più belli di sempre, è uno di quegli album che riesce davvero una volta nella vita, su cui un gruppo solitamente campa di rendita, costruisce una fortuna e una credibilità spendibile in eterno. Perché non ha un riempitivo, perché ha una tracklist che è una sorta di best of (da Tutti i miei sbagli a Liberi tutti, passando per Depre, Il cielo su Torino e il resto che vedremo), perché è “onnivoro” ed esplora tutte le direzioni che il primo omonimo Subsonica aveva lasciato intuire.

E’ un inno all’ambiente che circonda e ha circondato i cinque ragazzi torinesi, reduci da esperienze in consolle e a stretto contatto con il Po e i Murazzi, arrivando fino alle periferie e ai portici di Via Roma.  I Subsonica dell’epoca hanno fra i venti e trent’anni; sono gli abili giovincelli Samuel e Boosta, ma anche il navigato Max Casacci, già cofondatore e chitarrista degli affermati Africa Unite.

I Subsonica, che proprio lo scorso 24 maggio hanno compiuto il loro ventiseiesimo compleanno, sono padri e al tempo stesso figli e fratelli dei suoni di quei giorni. Per questo, e per un’innegabile ispirazione (ma l’età conta), la magia è riuscita: Microchip emozionale è la sintesi dei Novanta italiani, il pass con cui il nostro Paese si presenta al Duemila. E se non è proprio il lavoro più bello della stagione, sicuramente ne è il più rappresentativo: per quello che contiene e per come lo contiene.

Dance, musica d’autore, pop ed elettronica sintetica convivono all’interno delle stesse canzoni, sotto l’impianto da rock band. La politica che scopre il groove (Liberi tutti), la love song che incontra “una città e il suo movimento” (Il cielo su Torino), il funk che sposa la tradizione (Strade), la classifica che trova la club culture (Il mio dj) e la dance (Discolabirinto) e davvero potremmo citare tante altre combinazioni, tutte di primaria importanza e che passano per brani ritmati ed eclettici quali Colpo di Pistola e Aurora Sogna

Ma magari bastano gli ospiti: Daniele Silvestri dai cantautori considerati a quel tempo “chic”, Claudio Coccoluto dalle discoteche, Morgan per l’alternative – l’elite di quegli anni, per ogni provenienza. In sintesi, l’underground alza la testa, raggiunge il mainstream e va a Sanremo con “Tutti i miei sbagli”: lsd e cassa in 4/4, dancefloor e testo raffinato, per un successo enorme in radio. E i Subsonica lì, in studio, ad amalgamare un’alchimia fondamentale per il consenso trasversale di cui ancora godono.

E’ quella duttilità musicale che difficilmente si vedrà o si ripeterà negli anni 2000. Un’evoluzione e una tecnica musicale che sicuramente potrà anche non piacere, ma di cui ne è innegabile la novità, l’accuratezza e la sperimentazione.

I Subsonica portano sugli spartiti le loro esperienze personali e autoriali, le quali variano dalle consolle fino banchi delle radio locali torinesi, passando per ore di passeggiate e ispirazione per i portici di via Roma e Via Po.

Quegli anni Torino è un fermento, c’erano gli Africa Unite di Casacci, gli Statuto del compianto Ezio Bosso e l’influenza culturale era cosmopolita e pluridirezionale, distribuita in egual modo tra letteratura e musica.

I Subsonica di Microchip emozionale colgono a pieno l’importanza di quel momento storico e si fanno “portatori sani” di un nuovo modo di concepire la musica in Italia e di una nuova visione della realtà. Torino che chiama l’Italia e ne racconta le proprie vicissitudini, e poco conta se sotto i portici di un qualsiasi paese italiano, sembrerà comunque di essere a spasso per il capoluogo piemontese.

 Insomma, Microchip emozionale è la nuova descrizione e visione degli anni Novanta, il disco di una generazione. È anche il più riuscito del gruppo torinese, vero, ma rinfacciare loro (troppo spesso), di non averlo bissato vuol dire non comprenderne il contesto e la natura.