EDITORIALE – L’avvento di Rick Wakeman alle tastiere nella line-up degli Yes fu un passo cruciale, perché da qui in poi la musica del gruppo londinese assume, senza ombra di dubbio, maggiore spessore tecnico e sonoro. Gli accenti già precedentemente orientati all’attitudine progressive trovano in Wakeman ciò che, probabilmente, mancava ai tempi di Tony Kaye: quel tocco tecnico in più che la straordinaria cultura e capacità musicale di Wakeman poteva facilmente fornire.
Fragile, pubblicato il 26 Novembre del 1971, fu la prima opera con il nuovo tastierista, brillantemente affiancato dagli altri membri del gruppo, ovvero da Jon Anderson alla voce, Bill Bruford alla batteria, Steve Howe alle chitarre e Chris Squire al basso. Un cocktail esplosivo di musicisti tecnicamente molto dotati e capaci di colpire sia singolarmente, sia per la straordinaria intesa di gruppo.
L’album, splendido anche nella sua copertina disegnata da Roger Dean, già disegnatore di copertine di, fra gli altri, Earth & Fire e Nucleus, è un vero e proprio album Prog rock caratterizzato dalla presenza di brani medio-lunghi in stile suite e riferimenti alla musica classica più o meno velati.
L’inizio è di quelli che tolgono il fiato. Roundabout comincia e ci si immerge subito nello “stile Yes” dopo un particolare arpeggio di chitarra acustica. I ritmi sono incalzanti ed emergono immediatamente le tastiere di Wakeman che, già da ora, fanno da preludio a quello che sarà il centro di questo brano, quasi interamente costituito su un assolo eseguito magistralmente dello stesso tastierista.
Basti pensare che nel film School Of Rock del 2003, il professore Dewey Finn, interpretato da Jack Black, affida a un suo giovane studente tastierista, proprio Roundabout come esempio da seguire.
I successivi due brani, Cans and Brahms e We Have Heaven, sono due brani brevi che fungono da “passaggio” per la successiva South Side of the Sky; la prima è un chiaro omaggio al compositore Johannes Brahms, essendo un riarrangiamento di Wakeman suonato con l’organo. Allo tesso tempo, il cognome compositore austriaco è persino citato nel titolo del brano.
South Side of the Sky è un’altro brano abbastanza esteso a livello di durata; anche qui tastiere e chitarre sono in bella mostra; Howe è in splendida forma ed il brano è molto fluido e piacevole.
Passando per i brani successivi, ossia il breve Five Per Cent For Nothing (canzone senza testo il cui titolo rievoca il “5 percento per nulla” che incassavano gli agenti sulle entrate totali della band), Long Distance Runaround, The Fish (Schindleria Praematurus) e per la struggente Mood For A Day, assolo di chitarra acustica suonato in maniera semplicemente emozionante da Steve Howe, si arriva alla superba conclusione di questo meraviglioso lavoro degli Yes; si arriva nel “Cuore del Sorriso”, si arriva a Heart Of The Sunrise.
Questo è il brano più lungo dell’album con i suoi undici minuti e mezzo; in esso si susseguono sonorità incisive in alcuni punti, soavi e delicate in altre. La voce di Jon Anderson risulta essere mai fuori luogo e sempre capace di cadere nella maniera più dolce possibile sul tappeto sonoro tessuto dagli altri quattro musicisti. Un brano intenso ed emozionante, questo, che si conclude con una reprise di We Have Heaven, quasi a voler chiudere l’album in maniera “ciclica”, invitando l’ascoltatore a ricominciare da capo, un po’ come fecero i Genesis in Selling England by the Pound.
Un album fondamentale, un capolavoro di tecnica mista ad emozione, una grande prova da parte di questi musicisti che pochi mesi dopo sarebbero tornati a sorprendere con Close to the Edge, dimostrando straordinaria ecletticità e capacità di svariare finanche alla musica classica.
Un album che riesce ancora, a oltre cinquant’anni dalla sua uscita, a far breccia immediatamente grazie alle sue svariate peculiarità e sfaccettature.