EDITORIALE – Ci sono concerti che diventano leggende, serate in cui musica, energia e pubblico si fondono in qualcosa di irripetibile. Una di queste è sicuramente il live dei Queen a Wembley del 12 luglio 1986e immortalato nel doppio album Live at Wembley ’86, pubblicato il 28 maggio del 1992, a quasi un anno dalla morte di Freddie Mercury. Un documento straordinario di ciò che significava vedere il leader dei Queen e dei suoi compagni sul palco nel pieno della loro gloria.
Nel 1986 il Magic Tour arriva a Wembley, ed è proprio nello stadio londinese che i Queen danno la dimostrazione di essere la più grande band del pianeta (come disse Bob Geldof l’anno prima al Live Aid). Il concerto è suonato benissimo ed è veramente spettacolare, i quattro sono in gran forma e le canzoni proposte sono tra le migliori della loro carriera. Freddie Mercury è perfetto, incanta con la sua splendida voce e si muove continuamente per tutto l’enorme palco, Brian May e la sua Red Special creano superbi riff e bellissimi assoli, la sezione ritmica è molto più potente delle prove in studio.
I Queen giocano in casa e l’esaltazione dell’audience è palpabile, vera, scalciante. Una folla oceanica, 250.000 persone per assistere allo spettacolo, per cantare instancabilmente, per applaudire Freddie, Brian, John e Roger tirati a lucido, capaci di riversare montagne di note deluxe.

E il concerto parte subito forte, con le perle in chiave hard rock di One Vision e Tie Your Mother Down, avvincenti e dal ritmo incalzante. La folla si scalda, Mercury è il Re e lo dimostra non solo cantando i brani, ma interpretandoli in maniera vera e propria: è attore, cantante e scenografo allo stesso tempo, senza se e senza ma.
Una produzione da favola assiste Freddie e soci che snocciolano tracce vibranti, pomposamente autocelebrative ma immortali. Le mie favorite sono tante e detto per inciso le quasi due ore trascorrono con sussulti e godimenti estremi, a me personalmente piace ancor oggi riascoltare alcune canzoni racchiuse in questo live che mettono malinconia e sono incantevoli e irripetibili. Tie Your Mother Down con il suo hard rock secco, le pulsazioni ritmiche di Another One Bites The Dust, la frecciata di Now I’m Here, il solo di May, è tutto nella mia memoria, da tenere ben riparata dagli eccessi del tempo. Il secondo disco non è da meno.
Inutile citare le mitologie fatte a spartito, sarebbe esercizio sterile, mi concentro sulla follia rockabilly di Crazy Little Thing Called Love e sull’opener da brividi di Love of My Life, il resto è tutto da bersi in un fiato, immerso in un’eutanasia di cori, chitarre, melodie, assoli e vocalità che provocano assuefazione.
Una prova immensa, una festosità pura composta di diverse sfaccettature, quelle proprie dell’entità della band, quelle diverse fattezze del diamante puro che stilla unicità, classe e mitologia senza alcuno sforzo.
Dopo alcuni brani di inferiore durata arrivano molte hit anni 80′: A Kind Of Magic che diventa più lunga e dove May sfodera un grande assolo, Under Pressure e Another One Bites The Dust che vedono il basso di Deacon in primo piano, Who Wants To Live Forever triste ma bellissima e l’allegra e divertente I Want To Break Free. La prima parte si chiude con l’assolo di nove minuti di May, l’improvvisazione e l’hard rock di Now I’m Here con un Taylor straordinario.
Curiosità: durante l’introduzione di Who Wants to Live Forever, Freddie Mercury risponde a chi vuole i Queen sul punto di rottura e, indicando il proprio posteriore, dice: They’re talking from here! (Parlano da qui!). Durante il discorso, Freddie fa un commento profetico: “Quindi dimenticate quelle voci, staremo assieme finché, cazzo, non saremo morti, ne sono sicuro.”
La seconda parte inizia più lentamente: la dolcissima Love Of My Life, la breve Is This The World We Created e alcune buone cover scaldano il pubblico per il gran finale.
Arrivano la grandiosa Bohemian Rhapsody che svaria tra numerosi generi, Hammer To Fall decisa e potentissima, Radio Ga Ga dove tutto il pubblico batte le mani, e le celebri We Will Rock You e We Are The Champions. Il tutto si conclude con God Save The Queen cantata da tutto il pubblico.
Il finale con Freddie “regina della serata con tanto di corona e lungo strascico” rimane chiuso nello scrigno delle belle cose della vita: momenti unici.

Live at Wembley ’86 è stato successivamente rimasterizzato e arricchito con nuove edizioni, tra cui una versione deluxe che include anche il concerto dell’11 luglio. Ma la vera magia resta quella notte del 12: pura, irripetibile, viva. Ascoltarlo oggi è come aprire una finestra sul passato, e trovarsi catapultati in uno dei momenti più alti della storia del rock.
Non è solo un disco dal vivo. È una celebrazione della musica come forza collettiva, della capacità dei Queen di trasformare uno stadio in una cattedrale del rock, e di Freddie Mercury di farci credere – anche solo per un attimo – che tutto sia possibile.
E’il live della consacrazione, è un insieme di brani e fotogrammi immersi nella memoria collettiva di ogni generazioni che ami la musica.
E’Londra che accoglie e celebra i Queen e il suo Re Freddie Mercury, per un concerto memorabile, storico ed energico, da tramandare di generazione in generazione.