EDITORIALE – Anche se il cantante Layne Staley non sarebbe scomparso che nel 2002, vittima di quella tossicodipendenza alla quale i testi di Dirt, pubblicato il 29 Settembre del 1992, intendevano evidentemente fungere da esorcismo, gli Alice In Chains erano in realtà già finiti nell’aprile del 1996, con lo splendido concerto acustico pubblicato in Mtv Unplugged.
Un epilogo prematuro ma tristemente inevitabile per il quartetto di Seattle, esponente tra i più peculiari di quel poliedrico fenomeno passato alla storia come grunge e fonte di ispirazione e confronto coi “concittadini” Pearl Jam, i quali aprirono un concerto degli Alice in quel di Vancouver proprio ai loro primi esordi .
Pur vantando un’espressività legata all’hard rock, la band non mancava in ogni caso di assecondare la propria propensione alle sonorità e ai temi del grunge, esaltati in questo secondo album fitto di composizioni sofferte e visionarie, dove a condurre le danze è la duttile chitarra di Jerry Cantrell ma, a elevarle a un diverso piano dimensionale, è l’inconfondibile voce rauca e sofferta del front man Layne Staley.

Brani come Would?, in cui il tema della tossicodipendenza compare ed è urlato forte, mostra gli Alice In Chains capaci di prendere la propria attualità autobiografica e rapportarla a un sistema che magari tende a isolare chi mette in piazza le proprie debolezze. la canzone è dedicata al cantante dei Mother Love Bone, Andrew Wood, morto per una overdose di eroina nel 1990. Questa è apparsa per la prima volta sulla colonna sonora del film Singles – L’amore è un gioco, nel quale gli Alice in Chains fanno una piccola apparizione. Jerry Cantrell, autore della canzone ha dichiarato riguardo ad essa: «In quel periodo pensavo molto a Andrew Wood. Ci divertivamo molto quando ci frequentavamo, molto di più di quanto facciamo io e Chris Cornell. Non c’era mai un momento serio in una conversazione, era tutto divertimento. Andy era un tipo divertente, pieno di vita ed è stato molto triste perderlo. Ma ho sempre odiato le persone che giudicano le scelte altrui. La canzone è diretta anche a quelle persone che giudicano.»
Ma il capolavoro dell’album è indubbiamente Down In A Hole, brano con cui nel 1996 ho conosciuto gli Alice In Chains, nella versione però Unplugged precedentemente citata. E’ la storia di una rivalsa negata, ma comunque azzardata e volutamente tentata dal protagonista. A vedere poi il triste destino che toccherà proprio Staley, Down In A Hole ha preso negli anni a venire una connotazione quasi profetica nella storia e nel vissuto degli Alice In Chains. Il brano, basato su un accordo in La b minore, è cantato sia da Layne Staley che da Jerry Cantrell, il quale lo considera tra le sue tre migliori canzoni di sempre.
I pezzi Sickman, Junkhead e Dirt sono basati sulle esperienze di Staley con l’eroina, mentre Rooster è basata sull’esperienza nella guerra del Vietnam del padre di Cantrell. Rooster era il nomignolo con il quale questi veniva chiamato durante il conflitto.
Il pezzo Untitled (Iron Gland) ospita la voce di Tom Araya degli Slayer. Esso, tuttavia, non è un vero e proprio brano, ma un insieme di rumori accompagnati dall’urlo di Araya. Tutto ciò iniziò quando gli Alice in Chains conobbero gli Slayer durante il “Clash of the Titans” tour nel 1990. I due gruppi divennero amici e, in seguito, Jerry Cantrell chiese ad Araya di fare un urlo tipico degli Slayer da inserire nell’album in questione e lui accettò con piacere. La frase pronunciata è “I’m Iron Gland!”.
E’ il 1992 del viaggio verso l’abisso degli Alice In Chains, il che rappresenta un ossimoro se vogliamo, perché Dirt è davvero un album superbo e ben fatto, su cui qualsiasi gruppo avrebbe puntato la propria rinascita. Invece, dopo quell’epico Unplugged di quattro anni dopo, il gruppo cadrà in una sorta di tunnel dal quale non farà più uscita, e non solo, purtroppo, in senso artistico.