#TellMeRock, 30 Gennaio 1969: l’ultimo concerto dei Beatles su un tetto di Londra

EDITORIALE – Era da poco passato mezzogiorno quando, il 30 gennaio 1969, al numero 3 di Savile Row, Londra, i Beatles salgono sul tetto della Apple Records per quello che è rimasto nella leggenda come l’ultimo concerto dei Fab Four.

In quelle settimane la band è chiusa in studio, impegnata a lavorare su un progetto ideato da Paul McCartneyGet Back, ovvero un ritorno dei Beatles alle loro origini beat e rock and roll, ‘ripulite’ dalla sperimentazione massiccia in studio da cui erano sorti capolavori come RevolverSgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band o il White Album.

Dei quattro ragazzi che a partire dal 1963 avevano conquistato il mondo trascinandolo nella Beatlemania è rimasto poco, quasi nulla: McCartney, come si evince anche dai testi e dai messaggi di Let It Be, fa di tutto per tenere insieme quel che rimane della band, Harrison si sente soffocato dal dominio artistico dei suoi due colleghi, mentre Lennon, nel pieno della dipendenza da eroina, non ha occhi che per la sua Yoko. Il lavoro in studio ne risente con i quattro che non riescono ad andare al di là di qualche session appena abbozzata e subito abbandonata.

La tensione è altissima, complice anche l’obbligo contrattuale con la United Artists per cui i Beatles avrebbero dovuto produrre un altro film, il terzo dopo A Hard Day’s Night del 1964 e Help! del 1965. Le telecamere del regista Michael Lindsay-Hogg sono accese anche il 10 gennaio quando George, stremato dai continui soprusi di Paul, decide di abbandonare la band per poi tornarvi 5 giorni dopo, dopo che John aveva proposto di sostituire il chitarrista con il suo grande amico Eric Clapton.

Inizialmente pensato per essere realizzato nel Sahara o in un anfiteatro romano in Tunisia, il palco viene ‘trasferito’ sul tetto della Apple per comodità, in modo che per i Fab Four fosse breve e indolore. Poco più di quaranta minuti e una manciata di canzoni suonate in versioni differenti per essere poi adattate alle riprese di Lindsay-Hogg. «Speriamo di aver superato il provino!», scherza Lennon al microfono, mentre la polizia interrompeva il concerto, il primo dal ’66, ultima testimonianza dei giorni più bui dei Beatles, ormai al tramonto.

L’esibizione iniziò con una prova di Get Back seguita da un applauso educato che probabilmente ricordò a McCartney una partita di cricket in quanto poi si avvicina al microfono e mormora qualcosa circa il giocatore Ted Dexter della nazionale di cricket. Lennon esclama: «Ci è giunta una richiesta da Martin Luther!», poi la band attacca una seconda versione di Get Back; alla fine del brano John dice: « …arrivata richiesta per Daisy, Morris e Tommy».

Seguono Don’t Let Me Down e I’ve Got a Feeling, al termine di quest’ultima Lennon afferma: «Oh mamma mia!… è proprio dura».

One After 909 viene seguita da un breve accenno al brano tradizionale Danny Boy, poi una falsa partenza di Dig a Pony con Ringo che si soffia il naso e John che chiede il testo della canzone, e al termine dell’esecuzione si lamenta di avere le mani troppo fredde per suonare gli accordi.

Mentre il tecnico, un certo Alan Parsons cambia il nastro, i Beatles e Preston strimpellano brevemente God Save the Queen, l’inno nazionale britannico. Seguono seconde versioni di I’ve Got a Feeling e Don’t Let Me Down e la terza ed ultima versione di Get Back, quella disturbata dall’arrivo della polizia.

Alla fine Paul ringrazia per l’applauso Maureen Cox, moglie di Ringo Starr («Thanks Mo!»), e Lennon dice la sua celebre battuta conclusiva sull’audizione superata («I’d like to say thank you on behalf of the group and ourselves and I hope we passed the audition», “Vorrei dire grazie a nome del gruppo e di noi stessi e spero che abbiamo superato l’audizione”)

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