EDITORIALE – Atom Heart Mother aveva ottenuto un discreto successo, piazzandosi per un periodo nella vetta assoluta delle classifiche inglesi: ciò che interessava ora ai Pink Floyd era proseguire su questa strada.
E così un anno dopo, nel 1971, ecco che viene partorito un nuovo lavoro intitolato Meddle, che pur simile nella struttura al precedente, dato che infatti entrambi hanno un intero lato del vinile occupato da una sola traccia, rispolvera ciò che resta del rock psichedelico temporaneamente abbandonato da Atom Heart Mother.
Il 25 Febbraio del 1971 i Pink Floyd propongono alla Royal Albert Hall di Londra, per la prima volta, alcuni brani del loro sesto album Meddle, il quale uscirà il 30 ottobre del suddetto anno, compiendo così oggi ben cinquantatré anni.

La strana copertina, che si riesce a decifrare meglio guardando anche nel retro del libretto e accorgendosi che viene raffigurato un orecchio umano su sfondo verdeggiante, è sicuramente antitetica a quella serena immagine della mucca in Atom Heart Mother, ed è un po’ l’emblema dei toni musicali del disco, sicuramente più cupo del precedente; storica è anche la foto presente all’interno del libretto e che ritrae i quattro componenti del gruppo. La prima traccia ci fa entrare subito in medias res: One of These Days è un rock psichedelico orecchiabile composto da tutti i membri del gruppo, ed è uno dei pezzi più famosi e sicuramente più belli dei Pink Floyd (per molti resterà in eterno la sigla di Dribbling).
Il basso di Waters suona subito aggressivo e viene successivamente accompagnato dalla chitarra di Gilmour e dal furioso ritmo della batteria di Mason, che al centro della composizione pronuncia, con una voce resa artificialmente tetra, le uniche parole del pezzo, che resteranno nella storia del gruppo: “one of these days I’m going to cut you into little pieces” (“uno di questi giorni ti taglio in piccoli pezzi”), parole scritte da Waters e dedicate, per così dire, a un disc jockey evidentemente da lui poco amato.
A voi che leggete e che magari non possedete questo album, consiglio di non arrangiarvi con i live per ascoltare questo brano, che dal vivo non ha mai un sound soddisfacente.
Il soffio del vento che aveva introdotto One of These Days fa anche da raccordo tra la prima traccia e la seconda, chiamata appunto A Pillow of Winds (letteralmente “un cuscino di vènti”): si tratta di una dolce ballata di chitarra acustica interpretata dalla splendida voce di Gilmour, un brano che potrebbe sicuramente trovarsi nell’album precedente per via della sua dolcezza.
Il pezzo successivo, firmato Gilmour-Waters così come il precedente, è intitolato Fearless e si distingue per le orecchiabili melodie chitarristica e vocale, oltre che per le prime grandi liriche di Waters che darà in questo senso il meglio di sé in seguito. A conclusione del brano il famosissimo coro dei tifosi del Liverpool “You’ll never walk alone” registrato in un derby tra i Reds e l’Everton, tanto che subito dopo i tifosi della seconda squadra intonano un “Everton! Everton!” e vengono sommersi dai sonori fischi dei supporters dei loro rivali cittadini. Va detto che, a quanto so, i Pink Floyd non sono tifosi del Liverpool (Gilmour e Waters hanno infatti nel cuore l’Arsenal), ma semplicemente con questo pezzo hanno voluto manifestare il loro amore per lo sport e il calcio in particolare.
Il brano successivo, intitolato San Tropez e composto e cantato da Roger Waters, non è altro che una mediocre melodia ballabile riscattata però in parte da un ottimo assolo finale del piano di Wright, ma si tratta di un pezzo decisamente sottotono. Degna di nota è invece la quinta traccia: perché è un raro blues nella storia del gruppo e perché alla voce non vi è il solo Gilmour ma anche e soprattutto il cane Seamus, di proprietà di Steve Marriot, che dà il nome al brano. I suoi ululati accompagnano raffinatissime note blues che emergono dalla chitarra acustica di Gilmour e dal magistrale piano di Wright, talento sempre meno sfruttato nei lavori a venire.
Ma è girando facciata nel vinile che scopriamo il meglio: una suite di ventitré minuti, di lunghezza non differente alla precedente Atom Heart Mother, porta il nome di Echoes ed è opera di tutti i membri del gruppo così come “Seamus”.
Ora occorre fare una precisazione: si è detto più volte che questo brano e l’ultima parte di “2001: Odissea nello Spazio”, che per intenderci inizia con la scritta “Jupiter and beyond the infinite”, siano sovrapponibili, ma i Pink Floyd non hanno mai voluto confermare questa illazione. Ho recentemente acquistato il DVD del film e ho provato a eseguire la sincronizzazione, e vi dirò che non solo essa è stupefacente, ma soprattutto che le atmosfere del film, nel quale in quella parte sono presenti solo dei rumori, sono ricalcate dai temi musicali presenti nella suite tanto che potrebbero benissimo costituirne la colonna sonora. Per comprendere la realizzazione di Echoes, quindi, è consigliabile, se non addirittura necessario, far combaciare le sue sublimi note con le altrettanto splendide immagini del film.
La suite si può ripartire in quattro momenti ben attribuibili alle scene del film; si ha inizio con un sinistro ticchettio, al quale fa seguito l’entrata in scena di Wright con una magistrale introduzione pianistica. Lentamente compare anche Gilmour e la sua chitarra che esegue alcuni suoi tipici suoni distorti; quando poi si avvertono i primi battiti di Mason, il sound si fa più aggressivo.
Dopo la parte cantata eseguita in coro da Gilmour e Wright, ha inizio uno dei più begli assoli di chitarra mai eseguiti; parallelamente nel film il protagonista sta andando alla deriva nell’universo. La seconda parte è caratterizzata da una base di batteria e tastiera permanenti, e da una chitarra che sovrappone di tanto in tanto suoni psichedelici, ed è un momento sicuramente più tranquillo. Nella terza fase si affaccia lentamente fino ad avvolgerti completamente un cupo rumore elettronico cosparso di suoni psichedelici, che riproducono il protagonista del film ormai totalmente perso in terre ignote.
Quando alla fine l’astronauta arriva in quella strana casa dove sul finale vi è la celebre immagine del vecchio che indica con il dito il famoso e indecifrato monolite, in Echoes si riparte con il ticchettio iniziale al quale si accompagna sempre più aggressiva la chitarra che introduce la dolce parte cantata.
La suite si conclude infine con due melodie strumentali dai simili accordi ma di tono differente, la seconda delle quali più leggera e calma. Si chiude così uno dei pezzi più belli di sempre: ascoltarlo da solo forse non basta, e con il contributo delle immagini dà delle emozioni ancora più forti che non sono descrivibili solo attraverso le parole.
Meddle è forse l’ultimo album dei Pink Floyd che cerca con quell’estremo sforzo di psichedelia di ottenere dei risultati eccezionali a livello artistico-musicale, e in “Echoes” ci riesce in pieno. Dopo la breve parentesi dell’anno successivo con l’uscita di Obscured by Clouds, colonna sonora del film “La Vallée”, i Pink Floyd pubblicheranno nel 1973 The Dark Side of the Moon, e, raggiungendo con semplici melodie i cuori del pubblico di massa, giungeranno ad un punto di non ritorno.