#TellMeRock 4 maggio 1982, Pornography: il capolavoro dei Cure sospeso tra inquietudine e romanticismo

EDITORIALE – “Volevamo realizzare l’album più intenso, quello definitivo”. È da questa frase, pronunciata dal batterista Laurance Tolhurst, che bisogna partire per analizzare e capire una delle opere più importanti e venerate di un’epoca. Un’epoca lontana nel tempo, che affonda le radici nel mito, all’alba di quella sperimentazione che ha tracciato un solco profondo nella storia. È il 1982 quando il post-punk e tutta la darkwave, nati pochi anni prima, giungono alla piena maturità, facendo sprofondare il mondo intero in una voragine artistica senza precedenti, un buco esistenziale fatto di depressioni croniche e di riflessioni funebri, dove la vita è immaginata come un calvario senza senso dal quale voler fuggire.

In questo periodo, il movimento gotico è all’apice della sua estasi divina e, come un fiume in piena, straborda dagli argini e inonda tutto quanto, rendendo smorti i terreni circostanti. La voce di Ian Curtis ancora riecheggia e procura birividi e ispirazione, mentre in questo scenario, i Cure, proseguono il loro cammino, dritti alla conquista del mondo.

Pornography, pubblicato il 4 maggio 1982, è di sicuro il manifesto dei Cure più influenti, quelli che la Storia ha giustamente consacrato – alla pari di Siouxsie and the Banshees e Bauhaus – come portabandiera del gothic rock sospeso tra inquietudine e romanticismo. Reduce dalle fantasie naif di Three Imaginary Boys e dalle sommesse liquidità dei capolavori Seventeen Seconds e Faith, la band inglese, dove il leader Robert Smith è affiancato da Simon Gallup al basso e Laurence Tolhurst alla batteria, affida il compito di presentare il suo approccio musicale alle immagini della copertina: cupe e sfumate, quasi a sottolineare come i tre avvertano il peso dei temi affrontati nel disco, “l’orrore quotidiano del vivere” e una latente, tenue voglia di restare aggrappati a qualcosa o a qualcuno, anche mentre la musica stessa ti impedisce di muoverti, soverchiato dal terrore.

Ipnotici riff gettati su una batteria ed un basso tribali, ossessivi, ripetitivi, lancinanti, claustrofobici, One hundred Years e A Short Term Effect sono canzoni paranoiche e convulsive.

It doesn’t matter if we all die… e The Hanging Garden porta ad una frenetica, glaciale visione notturna popolata da figure intente a sopravvivere nel nulla oscuro.

Siamese Twins è il capolavoro di un album capolavoro, una delle canzoni più lancinanti che siano mai state scritte o ascoltate. Un brano che cancella il senso della temporalità, del presente, della concretezza di ciò che circonda l’ascoltatore, una trance troppo profonda per essere infranta, solo Robert Smith sembra possedere la chiave per svegliarti, ma sembra intento solo a renderla sempre più profonda, sempre più profonda, fino alla domanda finale urlata attraverso le casse: sarà sempre così?… è un bene che allora non esistessero i CD, perché la puntina che gracchia segnalando il temine della facciata è l’unica cosa che può risvegliare l’incauto che l’ha posata sul bordo del vinile, prima che sia troppo tardi.


Andando avanti la sensazione di non poter far nulla, di non potersi opporre al torpore che sempre più languidamente avvolge le membra è via via più concreta, ineluttabile, The Figurhead e A Strange Day sono morbidamente, poeticamente avvolgenti, quasi surreali sia musicalmente che per i testi.

Si ripiombare poi nel dolore immobile di Cold, un organo gotico nel senso più profondo del termine e liriche in cui Robert Smith, forse, ritrova un po’ della forza necessaria per scuotersi un po’, per arrivare al catartico finale rappresentato dalla title-track, dissonante, crescente, nevrotica, schizoide, ma, paradossalmente, forse chiusa dall’unica vera nota di speranza, da una presa di coscienza che chiude il loop con la frase iniziale dell’opera: I must fight this sickness, find a Cure.

I Cure dei primi anni ’80 di fatto finiscono qui. Pornography è l’album che li ha “esauriti” in tutti i sensi. E se dal lato artistico questo ha una valenza positiva, non si può dire altrettanto sul piano personale. Dopo essere venuti alle mani, Robert Smith e Simon Gallup non si parleranno per un anno e mezzo. Nei mesi successivi il gruppo non esiste più. Per sopravvivere alla sua creatura, Smith dovrà distruggerla, non ponendo fine al suo percorso, ma facendola rivivere sotto altre sembianze per scrollarsi di dosso l’immaginario a cui la band si era legata con la musica triste e angosciante.

Un nuovo trittico, questa volta di 45 giri, Let’s Go to BedThe Walk e The Lovecats, farà momentaneamente piazza pulita del lato oscuro dei Cure per lanciarli come gruppo pop da classifica, evitando loro di diventare la parodia di se stessi o di rimanere soltanto un santino per i dark più depressi. Quello dell’oscurità è un discorso che ritornerà ancora nella carriera della band inglese; il muro resterà lì, ogni tanto Robert Smith tornerà pure a guardarlo da vicino, come dimostra il fil rouge che lega Pornography a Disintegration e Bloodflowers, testimoniato anche da un DVD.

Ma da allora è stata, comunque, davvero, tutta un’altra storia

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