EDITORIALE – Prima delle “trilogia del Signore degli Anelli” (che è prima ancora un libro, poi un film) o la Casa di Carta, un gruppo rock italiano aveva creato una “Trilogia” musicale di altissimo livello artistico oltre che sociale e anche politico.
E così, dopo Desaparecido (1985), 17 Re (1986), i Litfiba, il 5 maggio del 1988 concludono la loro Trilogia del Potere con il capolavoro Litfiba 3.
Nel mezzo tra 17 Re e 3, va degnamente citato il live “12-5-1987 – Aprite i Vostri Occhi” registrato al Tenax di Firenze e documento indelebile di un momento irripetibile per la band fiorentina. Un live registrato in modo “grezzo” e abbastanza naturale che però è in grado di fare scuola a molte esibizioni dal vivo del giorno d’oggi.
E così, dopo le contaminazioni musicali di Desaparecido, la psichedelia di 17 Re, arriva la denuncia sociale, politica e religiosa di Litfiba 3, pubblicato il 5 maggio del 1988.
Il disco va celebrato non solo per la sua oggettiva bellezza, ma soprattutto perché oggi e probabilmente anche domani, non avremo più modo di ascoltare un concept simile. Ve lo immaginate, nel 2022 un album dove si parla di droga senza mai citarla “tu che mi guardi con la faccia da scimmia” (Amigo), dove si accusano palesemente i poteri forti politici e il Papa “ma l’uomo in bianco scese dal cielo,ma era al di là delle barricate” (Santiago), o si trattano argomenti come la pazzia e la gestione delle patologie mentali “il pazzo buono dorme tutta la notte, quello cattivo si prende le botte” (Ci Sei Solo Tu), la coscienza sociale sul rispetto dell’ambiente “stanno uccidendo il mare e noi li lasciamo fare” (Peste)e i peccati della storia della cultura occidentale “la vostra libertà? Noi ce l’avevamo già” (Tex)? Sarebbe follia, un suicidio artistico.
In Litfiba 3 queste tematiche vengono trattate in forma canzone rock, abbandonando le radici new wave del primo periodo della band fiorentina, altra cosa rischiosa e non scontata, il tutto rendendo il prodotto finale ben amalgamato, credibile e non affatto pesante. Anche smembrando la setlist le singole canzoni hanno la forza di camminare con le proprie gambe, prova ne è il fatto che alcuni brani sono entrati e mai usciti dalle scalette storiche dei concerti della band, come Tex e Paname, mentre altre (tra le quali quella che può considerarsi una delle migliori canzoni dei Litfiba: Cuore di Vetro) sono state riscoperte in tempi molto più recenti.
Santiago è sicuramente il pezzo di punta di questo album. Una struttura musicale perfetta e una denuncia forte da essere ancora oggetto di diatribe, discussioni ma anche approfondimenti. Il brano parte con la potenza virtuosa del basso di Maroccolo e della tastiera di Aiazzi, fino ad arrivare alla prova muscolare offerta dalla chitarra di Renzulli e dalla voce (e soprattutto parole) di Pelù. Il frontman fiorentino mai prima di ora era stato così esplicito nelle sue invettive, scagliandosi con forza contro la visita di Papa Giovanni Paolo II nel Cile del dittatore Pinochet avvenuta un anno prima.
Amigo mantiene più o meno le stesse coordinate, con Maroccolo e Aiazzi a dominare nella strofa fino all’esplosione del ritornello. Il testo, che come suddetto è una denuncia contro la dorga ha creato molti interrogativi intorno a sé, in parte risposti nel tour reunion del 2013, dove la band ha lasciato intendere di dedicare Amigo al compianto Ringo De Palma, già nella fine degli anni 80 tristemente afflitto da diversi problemi con le dipendenze e prematuramente scomparso nel 1990.
I ritmi si addolciscono e iniziano a essere cullanti, quando entra in scena Louisiana, con la melodia sorretta dal basso ed un Pelù trascinante nel ritornello. Il testo è un evidente riferimento alla pena di morte ed alla sedia elettrica e si collega con la copertina dell’album, dato che la Louisiana era infatti lo stato americano con il maggior numero di esecuzioni.
Da qui il tema forte e portante di questo album capolavoro: la pena di morte. Basti pensare che l’album doveva intitolarsi in principio “Prigionieri” e da qui u n altro chiaro riferimento è la scelta della foto di copertina, in cui è ritratto Willie Jasper Darden, un uomo di colore giustiziato sulla sedia elettrica in Florida il 15 marzo 1988, nonostante i forti dubbi sulla sua colpevolezza, espressi anche da alcuni membri della giuria.
E’ un disco stratosferico per i suoi toni forti, sia a livello strumentale che testuale, ma è anche l’album delle prime “diatribe artistiche” tra i componenti della band, con Ghigo Renzulli e Piero Pelù che avevano cominciato ad allontanarsi dalla matrice dark e new wave per avvicinarsi a quella rock, mentre Gianni Maroccolo e Antonio Aiazzi continuavano a spingere per la vecchia strada. Da qui la storia del famoso volo di ritorno dalla Russia in cui il bassista dei Litfiba sposò il progetto Csi del duo Ferretti/Zamboni, mentre i Litfiba proseguirono prima con El Diablo e poi con Spirito, rivedendo di volta in volta le loro ambizioni sonore e artistiche.