#TellMeRock, 6 Agosto 1969: L’esordio degli Stooges di Iggy Pop tra punk, rock e sensualità

EDITORIALE – 6 Agosto 1969. Esordio degli StoogesIggy Pop alla voce. Dave Alexander al basso. Scott Asheton alla batteria. Ron Asheton alla chitarra. Una delle formazioni più leggendarie di sempre pubblica per la Elektra uno dei capolavori massimi della storia del rock. L’influenza che ha esercitato sul biennio 1976-77 è determinante. Pur essendo un disco garage-rock, di fatto questo The Stooges presenta infatti molti caratteri premonitori del movimento punk. Anzi…Si potrebbe quasi dire che è pura scarica adrenalinica, è punk come mai il punk riuscirà ad essere, è rabbia allo stato puro come neanche Kurt Cobain riuscirà a trasmettere mai, è il rock come deve essere: distruttivo nello stato più assoluto, pura istantanea di orgoglio giovanile e ribellione primordiale, è malessere senza rassegnazione, è Satisfaction dotata di una perversione sessuale estremizzata.

E come vuole la tradizione, tutta questa roba fu oggetto di contemplazione all’epoca per l’esiguo numero di 35.000 fortunati che ebbero l’intuizione di acquistare l’album. Ma, come suddetto, questo è un capolavoro pionieristico per energia, suoni e messaggi nei testi.

1969 è sinuosa, viscida, penetrante e accattivante col suo ritmo boogie sottofondo che ti spinge a ballare tanto che vorresti non finisse mai. Iggy canta volutamente distaccato, provocatoriamente assente, limitandosi a interpretare uno stile classico senza eccessi, senza rabbia; “è il 1969, pupa” e quello che senti è un assolo tra i più acidi e malati che puoi trovare in giro. E ascolta il basso che ti fa sobbalzare e ora ascoltami mentre ti urlo in faccia con tutta la mia violenza che “IT’S NINETEENSEXSIXTYNINE BABY!!!”. Sono già in delirio.

Non c’è molto da dire su I wanna be your dog…forse si può affermare che rappresenta l’inno primordiale del rock…forse si può dire che la schitarrata iniziale non riuscirà mai ad essere eguagliata per violenza e passione, nemmeno da una Welcome to the jungle qualsiasi…forse si può dire che mai, MAI più tre semplici accordi ripetuti così ossessivamente riusciranno a sconvolgere una mente devastata come la mia. Provate a suonarli questi maledetti tre accordi. Non vi stancherete mai. Mai. E il testo…questo testo lascivo che non lascia spazio a troppi conformismi morali nella sua spensierata e non troppo nascosta allusione sessuale

Now I’m ready to close my eyes

And now I’m ready to close my mind

And now I’m ready to feel your hand

And lose my heart on the burning sands

And now I wanna be your dog

Come non restarne affascinati?

L’assolo di Asheton chiude con lungimiranza tre minuti tra i più sconvolgenti di sempre della storia.

We will fall spezza il ritmo e di fatto fa da spartiacque del disco. Il suo lento incedere cadaverico, la sua trama diabolica ci precipita in un’atmosfera da messa nera, da rito satanico, da quieto sabba. Il contrasto con un testo che narra di un incontro che porterà amore rende ancora più inquietante il pezzo. We will fall inoltre sfrutta John Cale alla viola e risente chiaramente dell’influenza della psichedelia malata e “noir” dei Velvet underground ma ricorda molto anche i Black Sabbath (esordienti nello stesso anno) e i Rolling Stones di Their satanic majesties request.

No fun è altro manifesto della musica rock. Tra battito di mani e chitarra balzellante, Iggy canta il malessere di una generazione che se ne frega del free-love e del movimento hippy e di Woodstock e di tutto il resto. Ne viene fuori che No fun anticipa di fatto di quasi un decennio il movimento nichilista del punk ’77 di cui God save the Queen dei Sex Pistols sarà il manifesto. L’ennesimo spettacolare assolo di Asheton lo inserisce automaticamente tra i più grandi chitarristi della storia. Ma questo in fondo è una bazzecola…

Real cool time è un’altra orgia sonora primordiale. Riff ripetuti ossessivamente, batteria che pesta precisa e puntuale, Iggy che ripete almeno 5-6 volte la frase “I say we will have a real cool time tonight” e l’ennesimo gioco di prestigio di Asheton che chiude il pezzo.

Ann parte lenta, romantica, Ann cara Ann, questo è un pezzo d’amore, non vogliamo farti del male, vogliamo amarti, vogliamo solo amarti, ma vogliamo amarti ora, ADESSO! E quello che era un dolce e tenero incedere tipico della più smaccata ballata diventa un muro, anzi una muraglia: batteria che si trasforma in martello pneumatico e chitarra che crea la distorsione più malata e possente che uomo ricordi.

Not right segue lo schema ormai solito senza scadere nel ripetitivo: riff micidiale che accompagna le acrobazie stilistiche impeccabili di Asheton.

Little doll è l’ultima scarica elettrica nonché ennesimo delirio sessuale.

Nient’altro da aggiungere. Qui si rasenta la perfezione del genere rock e punk. Qualcosa di primordiale, rude ed efficace, come solo il rock sa essere.

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