#TellMeRock, 6 maggio 1966: Paint It Black, gli Stones e quella “virgola” in nero e malinconica

EDITORIALE – La scena è questa: termina il capolavoro Full Metal Jacket e parte una colonna sonora dai ritmi “molto indù” che sembra quasi richiamare Bollywood più che Hollywood.

E più che Brian Jones, sembra quasi che stia partendo il suono del sitar del maestro indiano Ravi Shankar, fonte di ispirazione per numerosi gruppi “psichedelic rock” di fine anni 60.

Inizia così la storia di Paint it Black, capolavoro dei Rolling Stones pubblicato il 6 maggio del 1966

Quando il brano uscì nel suddetto anno, in molti pensarono che fosse una “dichiarazione” razziale. Colpa di una virgola, misteriosamente e inspiegabilmente stampata sulla copertina prima della parola Black che generò non poche incomprensioni perché sembrava un’esortazione: “Dipingilo, nero” – dove nero poteva essere non solo il colore, ma anche l’uomo di colore.

E’ invece la triste storia di un ragazzo che, dopo aver perduto il suo amore, vorrebbe dipingere di nero tutto quanto, per intonare le cose della vita al suo umore malinconico.

La musica nacque per gioco, quando Bill Wyman cominciò a improvvisare all’organo un riff tipico dei matrimoni ebrei per fare il verso a Eric Easton, che prima di diventare il manager degli Stones era diventato un organista dilettante. Charlie Watts gli andò dietro aggiungendo qualche sapore mediorientale. In questo modo e con l’aggiunta del sitar che gli Stones avevano scoperto alle isole Fijii, il ritmo poteva fare da contraltare al testo.

Il verso  I have to turn my head until my darkness goesJagger lo prese in prestito dall’Ulisse di Joyce.