#TellMeRock, 6 Marzo 2006: l’isola ispiratrice di Gilmour e quel regalo di compleanno a se stesso e alla musica

EDITORIALE – David Gilmour, fresco 77enne, è un uomo che ha trattato un oceano smisurato di tematiche: la guerra, l’alienazione dell’individuo, il senso della vita e della morte, le psicosi e le oppressioni di una società moderna. Ma gli argomenti toccati dal chitarrista con i Pink Floyd, in tutti i loro corsi, non terminano qui: l’isolamento, il senso di distacco di The Wall, le ossessioni di The Dark Side of the Moon, lo spietato mondo del music business di Wish You Were Here, le allegorie socio-politiche di Animals, l’assenza di comunicazione di The Division Bell e molto altro. Dopo aver combattuto tante battaglie David Gilmour è un uomo che ha trovato pace e serenità.
E così vediamo sulla meravigliosa copertina di questo suo disco un pensieroso Gilmour seduto su un’isola, che osserva placidamente un gruppo di uccelli volare via, immerso in numerose sfumature di blu. Raramente un disco ha avuto copertine così esplicative e tanto limpide negli intenti. Il chitarrista, proprio il 6 marzo del 2006, per il suo sessantesimo compleanno, si regala così On an Island, un platter sereno e disteso, dalle atmosfere sognanti e profonde. L’artista mantiene il suo tocco magico e molte delle sonorità dei Pink Floyd, ma si lascia alle spalle le tematiche totalizzanti e sociali de suo grupp storico. Chi infatti si aspettava un disco orientato in tal direzione, ribadita poi parzialmente con Rattle That Lock nel 2015, rimarrà deluso. Il platter vede la partecipazione di molti amici del chitarrista di alcuni nomi eccellenti: Richard WrightDavid CrosbyGraham NashPhil ManzaneraRado KloseGuy Pratt e molti altri. Alla stesura dei testi l’artista è stato accompagnato dalla moglie e scrittrice Polly Samson.

I primi momenti di inquietudine di Castellorizon sono accompagnati da una serie di effetti e rumori, miscelati con alcuni fraseggi di diversi strumenti che poi faranno la loro comparsa durante il platter. L’apertura, musicale ed atmosferica del breve strumentale, arriva con la meravigliosa chitarra di Gilmour che “canta” come di consueto su un tappeto orchestrale di tutto rispetto. La sei corde conduce per mano lo strumentale verso la titletrack, che risulta fin dai primi ascolti una delle punte di diamante dell’intero disco.



Remember that night
White steps in the moonlight
They walked here too
Through empty playground, this ghosts’ town
Children again, on rusting swings getting higher
Sharing a dream, on an island, it felt right

We lay side by side
Between the moon and the tide
Mapping the stars for a while

Let the night surround you
We’re halfway to the stars
Ebb and flow
Let it go
Feel her warmth beside you
(On an Island)


Nella title track, On an Island, la voce pacata di Gilmour viene affiancata dai cori di Crosby e Nash, creando un’atmosfera sognante e a tratti onirica, che racconta l’esperienza del chitarrista su un’isola greca, fonte d’ispirazione poi di tutto il platter. Il pezzo è strutturato in maniera eccellente, grazie ad un gran lavoro di produzione e cura nei dettagli musicali, con due assoli ricchi di pathos, in grado di trasmettere egregiamente quella sensazione di profondità e di riflessione che l’artista sta attraversando. Continuiamo quindi ad osservare la luna, attraverso un brano che è il manifesto di questo nuovo esperimento di Gilmour.

The Blue riporta in auge le atmosfere di Us and Them, private tuttavia di quei momenti di picco dei ritornelli, drammatici ed intensi. Ad accompagnare il chitarrista abbiamo la moglie Polly Samson al pianoforte e la voce del caro amico Richard Wright

Take a Breath è l’unico episodio nervoso e rock-oriented di tutto il disco, che al di là del testo incentrato sui conflitti interiori, non brilla per originalità o trasporto. Anche la stessa Red Sky at Night, strumentale che richiama moltissimo le atmosfere di Shine On You Crazy Diamond, risulta un brano di ottima fattura ma scevro di quel piglio che fa gridare al miracolo. L’unica peculiarità risiede nel fatto che il sassofono sia suonato dallo stesso Gilmour in persona.

Gli echi dei Pink Floyd ci abbandonano del tutto con This Heaven, un piacevole blues acustico che vede come ospite Phil Manzanera.

So break the bread and pour the wine
I need no blessings but I’m counting mine
Life is much more than money buys
When I see the faith in my children’s eyes
(This Heaven)



Il chitarrista canta l’amore per i propri figli attraverso delle immagini bibliche, che elevano il proprio sentimento a qualcosa di spirituale. Il brano risulta decisamente ben riuscito e dona una tinta personale al disco.

A variare ulteriormente i generi sul disco ci pensa la particolare chitarra Weissenborn di B.J. Cale in Then I Close My Eyes. Il brano ci culla lentamente fra sonorità evocative, con un leggero tocco di brillantezza.

La stessa sensazione si riscontra anche nella piacevole ballad acustica Smile. Il livello si alza di nuovo, drasticamente sul finale con A Pocketful of Stones, brano più longevo ed introspettivo, che mostra probabilmente la sfumatura del blu più vicino alla notte. Gli strumenti dell’orchestra, compresa l’arpa, si sposano egregiamente con la voce di Gilmour e con le atmosfere dei synth.

Il finale di On an Island passa con Where We Start, canzone delicata e dolce che rappresenta una situazione di felicità e serenità.

Where we start is where we end
We step out sweetly, nothing planned
Along by the river we feed bread to the swans
And then over the footbridge to the woods beyond
(Where We Start)


Il brano, probabilmente un regalo da parte del chitarrista alla moglie Polly Samson, descrive come le ombre siano state lasciate alle spalle e come allo stesso modo vi sia molto altro da vivere. La canzone, insieme alla precedentemente citata The Blue, risulta un manifesto del disco e dell’appagante situazione psicologica di Gilmour, che ci delizia con un ultimo assolo destinato a sparire in fade out.



Il lavoro gode di alti e bassi, un po’ come le maree che circondano la nostra isola immersa nel blu. In alcuni momenti i brani passano senza troppo mordente, in altri ritroviamo il colpo di genio al quale il chitarrista ci ha abituato in questi anni. Le composizioni del platter sono tutte ovviamente di alto livello, così come la produzione e gli arrangiamenti, che godono della presenza di diversi ospiti illustri.

In conclusione On an Island è il prodotto di un’artista che sa di non dover dimostrare nulla a nessuno, scevro di convenzioni sociali e con la meravigliosa possibilità di poter cantare e suonare quello che vuole. Trattare i temi della serenità e del benessere interiore è sicuramente molto più complesso del prendere in analisi temi più dolorosi o pesanti, che possono anche essere fonte di maggiore ispirazione. On an Island non è per tutti e neanche per tutte le occasioni, ma rimane -per i pochi che ogni tanto si sentono in pace con loro stessi- un ascolto largamente consigliato.