#TellMeRock, 8 dicembre 1972: il Made in Japan, i Deep Purple e il ‘Sol Levante’ dell’hard rock

EDITORIALE – Il disco di oggi mi rimanda a serate estive in cui a supporto della band di amici tra i quali Daniele Marcante, Giorgio Lorito, Antonio Albanese, Roberto Palladino, Graziano Surace e Domenico “Satomi” Labanca, si girava la Lucania per far conoscere il “Made in Japan” dei Deep Purple.

Viaggio che però portava sempre alla stessa meta, cioè la serata di ferragosto in piazza a Trecchina, perché a Daniele piaceva giocare in casa, come Roberto e Domenico  tenevano alla storica tappa allo storico Exedra del Lago Sirino.

Il Made in Japan, pubblicato su disco l’8 dicembre del 1972, ci ha portati in giro per intere estati, ha fatto da colonna sonora e serate e dibattiti, ed è per questo che ve ne parlo e racconto con enorme piacere.

Impostosi negli anni ’70 come attestato della consacrazione dei Deep Purple, il doppio 33giri dal vivo ha avuto in Made in Japan l’esempio fulgido di quanto una band possa rendere immortale un live. Mettiamoci anche la location fino ad allora “mitizzata” del Giappone, tappa obbligata da quel 1972 in poi per qualsiasi band mondiale.

Ci sono praticamente tutti i loro classici del periodo. I primi tre ricalcano, migliorandole, le versioni in studio. Highway Star è semplicemente fantastica:  gli assoli di organo e chitarra, la voce potente al punto giusto e una sezione ritmica che gira a mille, rendono il brano uno dei capolavori dell’hard-rock. E’ praticamente impossibile rimanere fermi di fronte a questo travolgente muro di suono. 

Per la band inglese, convertitasi da un paio di anni all’hard rock dopo una prima fase tra psichedelia e progressive, il live del 16 agosto 1972 giunse dopo sei album di studio e più precisamente dopo Machine Head, del quale ripropone quattro brani su sette. I  pezzi sono sempre parecchio dilatati, dai quasi sette minuti di Highway Star ai quasi venti di Space Truckin’, dove spiccano le doti tecniche di strumentisti come Ritchie Blackmore (chitarra), Jon Lord (tastiere), Roger Glover (basso) e Ian Paice alla batteria, nonché la notevole estensione vocale di Ian Gillan.

Tutto un po’ eccessivo, come da copione di un genere che ha l’esagerazione nel proprio Dna, ma il desiderio di sperimentare opportunità evolutive delle matrici blues attraverso le jam, rimarca le doti dei virtuosi componenti della band, che non rinunciano al piacere di esaltarsi ed esaltare le platee con il ricorso a lunghi assoli o a riff deflagranti come quello inconfondibile di Smoke On The Water, capace ancora di far tremare la terra ad ogni ascolto.

Oppure la maestosa capacità vocale che Ian Gillan esprime in Child in Time, della quale si racconta che, proprio durante il concerto che diede vita a Made in Japan, fu misurata in decibel durante i celebri acuti della canzone.

Child In Time ha un inizio che ricorda molto Bombay Calling degli It’s A Beautiful Day, poi entra in scena  la voce di Gillan, che prima sussurra e poi esplode in tutta la sua potenza; nel mezzo Blackmore dimostra di essere davvero un grande chitarrista e sciorina un lungo e strepitoso assolo di chitarra, per poi tornare con la ripresa del tema iniziale.

Si dice addirittura che al momento dell’acuto più alto i decibel che generò (insieme all’amplificazione) siano stati paragonati a quelli che avrebbe generato un aereo in partenza.

In Lazy, invece, Paice ha poco spazio: ci pensano l’organo e la chitarra a impreziosirlo con pregevoli virtuosismi.

Space Truckin è il brano che viene stravolto maggiormente. Da semplice pezzo hard-rock si trasforma in una vera e propria suite di quasi venti minuti, dove Lord si diverte a esaltare il suo hammond e a creare effetti che rimandano ai Pink Floyd.

Il migliore disco dei Deep Purple insieme ad In Rock e punto di partenza fondamentale per chi vuole addentrarsi nel mondo dell’hard-rock. Chi ama questo genere non può non possederlo.

Made in Japan è stato uno dei primi album rock registrati dal vivo ad ottenere un successo commerciale importante e ad entrare nelle classifiche di vendita. In particolare il disco, oltretutto doppio, raggiunse la prima posizione in Austria, Germania e Canada, la terza in Australia, la quarta in Olanda, la 6ª posizione delle chart statunitensi Billboard 200 e la settima in Norvegia.