#TellMeRock, 8 dicembre 1976: i 48 anni di Hotel California, il sogno americano secondo gli Eagles

EDITORIALE – Nella storia della musica, da sempre, ci sono i pionieri e coloro che successivamente ne monetizzano le intuizioni. Se alla fine degli anni ’60 l’idea di unire in matrimonio rock e country venne per primi ai Byrds, ai Buffalo Springfield e soprattutto a Gram Parsons, è toccato agli Eagles, alcuni dei quali avevano suonato proprio con Parsons nei Flyng Burrito Brothers, trasformare nel decennio successivo quell’ibrido in una colossale macchina per fare soldi.

Dopo il capolavoro del loro secondo album Desperado, del 1973, gli Eagles proseguono e perseguono la strada di un country rock tipicamente da Fm, con sonorità decisamente efficaci nel loro mescolare melodie radiofoniche e tradizione, con l’aggiunta di perfette armonie vocali e suggestioni storiche. Non a caso Desperado è un concept album sul west e sui suoi fuorilegge.

La consacrazione però per gli Eagles arriva l’8 dicembre del 1976, con il loro quinto disco in studio dal titolo Hotel California, album di maggior successo della band che vanta ben 16 milioni di copie vendute nel mondo. Il singolo omonimo è ormai un classico, non solo del rock anni sessanta, ed è al 40°posto nella classifica della rivista Rolling Stones, tra le 500 canzoni più importanti di tutti i tempi.

Eagles, 1976

Hotel California è la canzone più famosa degli Eagles e anche l’ultima ciambella con il buco perfettamente rotondo. Come ha raccontato il chitarrista Don Felder nello show di Howard Stern il 17 luglio 2008, Don Haley e Glen Frey, scrissero la prima parte nel 1976, in macchina, mentre entravano a Los Angeles di notte. Per loro, che non erano nati lì, la California era l’hotel dei loro sogni e Los Angeles era la stanza più lussuosa di quell’hotel.

Con il passare del tempo, perfezionarono il testo e aggiunsero anche il lato oscuro, perché il protagonista all’inizio è felice di arrivare in un hotel così lussuoso, ma presto capisce che è una trappola e che non è possibile abbandonarlo (You can check out any time you Like, But you can never leave! – Tu puoi lasciare l’Hotel tutte le volte che vuoi ma non potrai mai abbandonarci!”).

Hotel California diventa così anche la metafora del sogno americano infranto, dell’edonismo, degli eccessi  e dell’autodistruzione che trasformano in incubo qualsiasi sogno. E nonostante ciò tu non vuoi andartene, perché fare il check out significherebbe allontanarsi per sempre dal Grande Sogno.

Nel brano ci sono due parole che meritano attenzione: una è colita, un fiore del deserto che compare nella prima strofa e di cui tutti hanno ignorato a lungo l’esistenza, e la seconda è steely, (riferito ai coltelli), un dichiarato omaggio agli Steely Dan che nella canzone Everything You Did avevano composto il verso: Turn un The Eagles, the neighbours are listening (Alza gli Eagles, i vicini stanno ascoltando), riferendosi ovviamente alla radio.

Impossibile citare tutte le cover di Hotel California: molto popolare fu nel 1988, la versione gitana e flamencata dei Gipsy Kings, contenuta anche nella colonna sonora de Il Grande Lebowsky.

La metafora del lusso sta anche nella copertina dell’album. L’edificio che appare sul disco è il Beverly Hills Hotel, meglio conosciuto come Pink Palace, costruito nel 1912 e situato al 9641 di Sunset Boulevard, a Los Angeles. Si tratta di un albergo di lusso, da sempre frequentato da diverse star di Hollywood. La direzione dell’hotel fece causa agli Eagles per aver sfruttato l’immagine dell’edificio senza autorizzazione. Gli interni della hall dell’albergo che si vedono sul retro copertina sono quelli del Lido Hotel di Hollywood. Una leggenda metropolitana vuole che nell’illustrazione all’interno dell’LP sia possibile scorgere, affacciarsi da una balconata nella hall dell’albergo, Anton LaVey, fondatore e gran maestro della Chiesa di Satana.

Dal disco furono estratti tre singoli da Top 20, New Kid in Town, Hotel California, e Life in the Fast Lane. New Kid in Town (il 26 febbraio 1977) e Hotel California (il 7 maggio 1977) salirono fino in cima alla classifica Billboard Hot 100, mentre Life in the Fast Lane raggiunse la posizione numero 11. Altri brani celebri presenti nel disco sono Wasted Time, Victim of Love, e The Last Resort.

Si dirà che la qualità e la storia non si misurano con le copie vendute e certo nessuno può discutere quanto questo sia vero, ma sedici milioni di dischi venduti nei soli Stati Uniti, almeno una canzone scolpita per sempre tra le più belle e conosciute di tutti i tempi, due Grammy vinti e il titolo di band statunitense di maggior successo della decade, non si possono discutere. Specialmente se si considera che questo è “solo” il culmine di cinque album straordinari.

Hotel California è disco quasi perfetto, bellissimo, intenso tanto da un punto di vista musicale quanto da un punto di vista lirico, emozionante e dotato di un equilibrio compositivo straordinario. Certo l’avere a disposizione cinque compositori di livello assoluto, cinque polistrumentisti straordinari e cinque voci splendide, aiutano a capire come gli Eagles siano arrivati a tanto. L’inevitabile enfasi in questo caso è più che meritata, anche se non si può né si deve tacere il fatto che la commercializzazione del rock, il suo diventare musica per le masse e non più solo giovanile, il suo essere smussato e affogato nel e dal pop, si deve anche e anzi in gran parte proprio agli Eagles e alla loro identità commerciale. Tutto questo è parte della storia di una delle band più amate e al tempo stesso controverse di tutti i tempi e non si può mettere in secondo piano. D’altra parte, traspare in maniera così chiara e plateale dai solchi dei loro album che non si può davvero accusarli di porsi in maniera ambigua e disonesta. 

Hotel California è un apice assoluto, in tutti i sensi e come tale il suo valore va anche oltre quello meramente artistico e diventa paradigma, punto di riferimento, pietra miliare, al di sopra del tempo e delle mode, pur essendo splendida e coerente rappresentazione della decade nel quale è stato concepito e realizzato. La sua caratterizzazione in questo senso è evidente e a distanza di trentasette anni si fa sentire, rendendolo un album che in un certo senso raccoglie lo spirito del proprio tempo e se ne fa manifesto diventando immortale per questo.

Si può amare o meno, ma non si può non conoscere, così come la band di cui costituisce l’immortale lascito.