EDITORIALE – Il miglior modo di ricordare Tom Verlaine, frontman, autore e leggendario chitarrista della band newyorkese Television, morto il 28 gennaio dello scorso anno all’età di 73 anni, è quello di tuffarsi totalmente nella sua opera più celebre, quel Marquee Moon che ancora oggi fa scuola per sonorità, innovazione e cultura.
Pubblicato proprio l’8 febbraio del 1977, basterebbe una riga di recensione piena di aggettivi ammirati per descriverlo, ma inutile dilungarsi in chiacchiere, per trovare album d’esordio illuminati (e illuminanti) paragonabili a questo è necessario scomodare la banana dei Velvet Underground o il pifferaio dei Pink Floyd. Marquee Moon è sicuramente il documento più importante della scena gravitante intorno al CBGB di New York, culla del post punk e della new wave per ambo i lati dell’oceano.
Più compatto e più ispirato dell’esordio dei Talking Heads, più fresco ad oggi rispetto al Patti Smith Group, più colto dei Ramones, categoria superiore rispetto ai Cars e Blondie, più ponderato e meno drogato dei Pil, Marquee Moon è, senza retorica, un autentico spartiacque, ed impone Tom Verlaine come uno dei più arguti songwriters di sempre. Nondimeno, il disco consacra Tom Verlaine e Richard Lloyd come i nuovi eroi della sei corde.
Dall’iniziale See No Evil, che suona come avrebbero dovuto/potuto evolversi i Rolling Stones nel 76/77 invece di sperimentare una ambigua svolta dance/funk all’epoca, a Friction, un boogie con break soul (ma non troppo), con giro di basso persuasivo e chitarre pseudo-virtuose in continua evoluzione, passando per Venus, che si nutre di umori sixties e west coast lisergica, con le due chitarre nuovamente avviluppate tra loro in dialoghi superlativi.
L’album, a conti fatti, non soffre mai momenti di stanca e vi si affacciano melodie squisite su chitarre sempre pulite, nessun effetto e poche distorsioni: un marchio di fabbrica che fa di Elevation una sorta di singolo per l’album, e di Torn Curtain l’ideale epilogo dal mood epico e solenne, arricchito da tristi tocchi di piano e ornato da minimali accordi chitarristici giocati su due tre corde, un uso di armonici che si incastona perfettamente nell’incedere indolente della traccia, ed un solo chitarristico finale che sembra sempre sul punto di collassare su se stesso (e che può ricordare dei Clapton o Gilmour vagamente sgangherati).
Per non parlare dei dieci minuti (abbondanti) della titletrack. Molto semplicemente il Manifesto del nuovo rock: chitarre ritmiche che si alternano soliste in un reiterato botta e risposta di grande impatto emotivo, una lunga jam strumentale nella parte centrale che suona new wave come avrebbero potuto fare i Velvet Underground se fossero sopravvissuti al loro triste destino, il basso in evidenza di Fred Smith e la batteria (di Billy Ficca) senza riverbero, asciutta, talmente attuale che sembra registrata la scorsa settimana, a suggellare un album che va a posizionarsi al fianco dei mostri sacri di sempre per importanza storica, e nondimeno si fa apprezzare come semplice delizia per le papille uditive.
I Television sono l’anello di congiunzione tra la concezione rock old school…..e il nuovo che avanza, giustappunto di lì a poco la generazione dei padri del rock cadrà in disuso! Un disco dopo il quale gli aspiranti chitarristi hanno dovuto rivedere molte cose del loro approccio allo strumento: semplicemente sbalorditivo.
Ecco la grandezza di un’icona come Tom Verlaine, visionario, eclettico, coraggioso e musicista con gli attributi.