EDITORIALE – A dimostrazione che le classifiche non sono tutto, questo capolavoro, uscito prima nell’album omonimo e poi come singolo, non ha mai raggiunto la vetta delle classifiche inglesi e neppure di quelle americane, ovvero le due patrie dell’ex Beatles.
Com’è riportato nel libro Lennon In America di Geoffrey Giuliano, John definì Imagine un inno antireligioso, antinazionalistico, anticonvenzionale e anticapitalistico, ma che è stato accettato nel mondo non tanto per il suo contenuto quanto per la sua forma: aver inserito un po’ di zucchero ha aiutato la digestione universale.
Per Rolling Stone è la terza più grande canzone rock di tutti i tempi. Jimmy Carter ha detto che in tutti i 125 Paesi che aveva visitato come Presidente, Imagine era tenuta in considerazione come e quanto l’inno nazionale.
Vediamo le origini della canzone, che oggi è l’inno di Amnesty International. Due le principali: la prima è I’ll Get You dei Beatles, scritta da Lennon, lato B di She Loves You del 1963, che aveva come primo verso: Imagine I’m In love with you/ it’s easy’ cause i know.
La seconda è il libro di Yoko Ono Grapefruit, che diceva: Imagine a raindrop, imagine the clouds dripping, imagine the sky crying…
Oggi tutti amano follemente questa canzone, ma non è sempre stato così. Il giornalista inglese Robert Elms disse che Imagine era “il parto di un multimilionario la cui casa di Manhattan era così lussuosa da avere un termostato solo per mantenere in temperatura le sue pellicce”. Ed Elvis Costello, in The Other Side, Of Summer, scrisse il verso: “E’stato un milionario a scrivere: immagina che non ci sia proprietà privata?
Imagine, pubblicato il 9 settembre 1971, ben cinquantatre anni fa, è il secondo album scritto da John Lennon dopo aver intrapreso la carriera solista e quello di maggiore successo, grazie a canzoni come la title track e Jealous Guy.
Nel febbraio 1968 i Beatles andarono in India. Volevano conoscere meglio un singolare personaggio che George Harrison aveva incontrato durante una conferenza in Galles l’anno precedente.
Si chiamava Maharishi Mahesh Yogi, parlava poco, ma le sue frasi a effetto (Don’t Fight Darkness, Bring The light and darkness will disappear; Non combattete l’oscurità. Porta la luce e l’oscurità svanirà) lasciavano un solco nella mente e nella memoria.
Al tempo stesso però Lennon e McCartney cercavano sempre di trasformare in canzoni quello che stava accadendo loro in quella strana avventura. Ascoltavano il guru, si lasciavano conquistare dalle sue parole e poi rielaboravano.
Dopo una lezione del Maharishi sul rapporto tra l’uomo e la natura, Lennon e McCartney si sfidarono a duello: ognuno di loro avrebbe scritto una canzone su quelle parole.
Il brano di McCartney, Mother’s Nature Son, finirà sul White Album, mentre la canzone di Lennon non vide mai la luce perché giudicata non all’altezza.
Anni dopo Lennon la riprese in mano durante le registrazioni di Imagine cambiando testo e titolo. Nacque così Jealous Guy, la storia di un ragazzo geloso che chiede scusa alla sua innamorata per il suo comportamento.
In un’intervista a Playgirl del 1985, McCartney disse che la canzone era probabilmente nata da una gelosia di Lennon verso di lui. John infatti era dispiaciuto che tutti preferissero le canzoni del suo ex compagno alle sue, ma la ricostruzione appare ancora oggi poco credibile.
Nel 1981 i Roxy Music di Brian Ferry incisero, sull’onda emotiva della morte di Lennon, una loro bellissima versione di Jealous Guy.
Conclusasi la fantastica avventura con i Beatles, John Lennon iniziò, come suddetto, un percorso come musicista solista, autore di disegni e testi poetici nonché attivista politico e paladino del pacifismo. Il suo impegno gli causò seri problemi con le autorità statunitensi, che per lungo tempo spiarono tutte le sue attività e quelle della moglie Yoko Ono, considerandolo un sovversivo e rifiutandogli più volte la cittadinanza americana.
Lennon spiegò il successo di Imagine, affermando che si trattava di un album “coperto di glassa, perfetto per il consumo del pubblico”, riferendosi, forse, alla prevalenza degli archi negli arrangiamenti.

La sera dell’8 dicembre 1980 alle 22.51, al termine di un pomeriggio trascorso al Record Plant Studio, mentre Lennon si accingeva a rincasare con la moglie e si trovava di fronte all’ingresso del Dakota Building (il lussuoso palazzo in cui risiedeva, sulla 72ª strada, nell’Upper West Side a New York), un venticinquenne squilibrato di nome Mark David Chapman esplose contro di lui cinque colpi di pistola colpendolo alle spalle quattro volte (il quinto colpo non andò a segno) mentre esclamava: «Hey, Mr. Lennon».
Soccorso da una pattuglia di polizia, Lennon perse conoscenza durante la corsa verso il Roosevelt Hospital, dove fu dichiarato morto alle 23:15.