EDITORIALE – Gli Aerosmith si formano nel 1969 a Sunapee, nel New Hampshire, dall’incontro di Joe Perry e Tom Hamilton con Steven Tyler, che all’epoca faceva il batterista ed era reduce da esperienze con i The Strangeurs e soprattutto i Chain Reaction. La prima formazione del 1970 vede Steven (voce), Perry (chitarra), Tom Hamilton al basso, Joey Kramer alla batteria e un certo Ray Tabano alla chitarra.
Prima di scegliere il loro nome attuale, i cinque presero in considerazione, e poi scartarono fortunatamente, denominazioni come The Bananas e Spike Jones. La band incomincia a suonare concerti nei vari locali aiutata da un paio di impresari che si susseguono. L’anno seguente Brad Whitford subentra a Tabano, anche se quest’ultimo resterà molto vicino alla band disegnandone pure il logo. David Krebs e Steve Leber diventano i manager del quintetto e in breve tempo, grazie ad uno stratagemma che consente agli Aero di suonare una sera, anche se non previsti in cartellone ma con i responsabili della loro futura etichetta in sala, riescono a farsi contrattualizzare dalla Columbia Records.
Il 15 gennaio 1973 Steve Tyler e soci pubblicano il loro omonimo album d’esordio. Un pezzo di storia, l’inizio di un mito, il primo tassello di una delle più grandi Rock band degli Stati Unti d’America. Questo primo disco non è certamente un capolavoro, ma un ottimo vinile fatto di sonorità che ispireranno band è generazioni future.
La voce (stupenda e potente) di Steven Tyler non è ancora completamente formata mentre il sound del disco è un Rock con forti influenze Blues che offre una grande carica.
I migliori episodi sono indubbiamente rappresentati dalla Power Ballad Dream On (pezzo che in molti riconosceranno nella pubblicità Fastweb). Un lento stupendo carico di pathos nelle strofe toccanti e nel ritornello ripetuto all’ossesione da Tyler. Come è accaduto per molte altre perle degli Aerosmith, anche questo pezzo racchiude una storia molto personale che riguarda proprio Steven Tyler. Nell’autobiografia del gruppo, il frontman ha raccontato di aver scritto Dream On quando era un adolescente per parlare dei suoi sogni e del suo desiderio di trasformarli in realtà. “La musica di questa canzone è stata composta con un pianoforte verticale Steinway nel salotto del Trow Rico Lodge di Sunapee, circa quattro anni prima della nascita degli Aerosmith – ha detto – avevo 17-18 anni… era un motivetto che suonavo, non avrei mai immaginato che sarebbe diventata una canzone vera e propria o una cosa simile. Parla della necessità di continuare a sognare, fino a che i sogni diventano realtà”.
In un’altra intervista Tyler ha aggiunto: “È un brano che ho composto al piano quando ero un ragazzo e non sapevo nulla di come si componesse una canzone. Parla della fame di diventare qualcuno, del bisogno di sognare affinché i sogni si avverino – ha spiegato – questa canzone riassume la m***a che ti ritrovi ad affrontare quando entri a far parte di una nuova band. La maggior parte dei critici stroncò il nostro primo album accusandoci di copiare i Rolling Stones. Questo è uno dei motivi che hanno scatenato la mia rabbia contro i media, un sentimento che provo ancora oggi”.
Nella sua autobiografia intitolata Does The Noise In My Head Bother You?, Steven Tyler ha approfondito l’argomento, rivelando che è anche grazie a suo padre se ha iniziato a interessarsi alla musica. il suo papà, infatti, suonava il pianoforte e quando Steven era bambino era solito mettersi ad ascoltarlo seduto sotto lo strumento: “È così che è nata l’idea per Dream On”, ha raccontato.
Questa, inoltre, pare sia l’unica canzone in cui Tyler si sia sentito davvero sé stesso: lui era preoccupato della tonalità alta della sua voce, così cercò di abbassare il tono nelle canzoni del primo album, tranne in questa, dove utilizzò la sua “vera” voce.
Sebbene oggi sia una delle preferite dei fan degli Aerosmith, Dream On all’epoca non ottenne un grande successo e raggiunge solo la 59esima posizione nella classifica Billboard Hot 100 del 1973; solo nel 1976 riuscì a salire fino alla sesta posizione. La band è però molto affezionata a questo brano e lo inserisce in quasi tutte le scalette dei live, perché è una canzone che ancora oggi riesce a far emozionare il pubblico a ogni ascolto.
Mama Kin è invece una hit vera e propria con ritmi intriganti che colpiscono l’attenzione dell’ascoltatore assieme al riffing; non per niente questa song è stata coverizzata dai Guns N’ Roses.
Il brano di apertura Make It propone un rock scanzonato ed ignorante di grande appeal. Un pezzo cheha già in sé una buona parte di segnali aerosmithiani, cadenzati da scale blues di buon livello.
Merita particolare attenzione Movin’ Out. Una traccia stupenda; la prima composta dal duo Perry/Tyler che parte con un arpeggio per poi prendere forza nelle strofe nelle quali viene introdotta la batteria, seguita poco dopo dalla chitarra. Il risultato è rock di alta qualità semplice arricchito da un solos straziante di Joe e da un’accelerazione.
Somebody, con un cantato timido che diventa assonanze e con la sei corde nella seconda parte, chiude il cerchio degnamente in maniera robusta.
One Way Street porta dentro di sé un ritmo blues che alterna tempi hard rock di assoluto spessore. Un brano che segna un continuum nella trilogia rock segnata nei tre anni prima da Deep Purple, Led Zeppelin e Black Sabbath.
La cover di Walkin’ the Dog serra le finestre su questo primo sigillo; pezzo carino con un feeling apprezzabile.
In definitiva Aerosmith sono 40 minuti estremamente piacevoli per un ottimo biglietto da visita per il futuro. Un buon disco per chi crede che la creatura di Tyler/Perry non sia solo Rocks e Toys In The Attick. L’inizio di una leggenda iniziata 52 anni fa senza scomodare, nonostante l’innegabile importanza storica del lavoro, aggettivi che potrebbero risultare eccessivi tenendo in considerazione la discografia immensa di questa rock band statunitense.