EDITORIALE – Nella metà degli anni 80 ma anche prima, erano numerosi gli artisti che frequentavano la Berlino Est in cerca di nuove motivazioni artistiche e musicali. Su tutti David Bowie (la famosa “trilogia berlinese” nata nella metà degli anni 70′), la veggenza di The Wall da parte di Roger Waters e gli U2 ( che registrarono proprio nella parte Est della capitale tedesca il loro capolavoro Achtung Baby).
Ma il fascino dell’Est rapì anche due italiani che nel lontano 1982 si conobbero in una discoteca di Berlino i quali, si munirono di Drum machine e cominciarono a suonare in giro per la Germania.
I due italiani sono Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni e da qui nasce la storia dei Cccp.
Il ritorno in Italia porta l’illuminazione. La cultura popolare emiliano-romagnola, tradizioni comuniste comprese, può essere filtrata da etica ed estetica punk. Le coordinate sonore della band sono soprattutto la scena elettro-industriale tedesca, dai Kraftwerk agli Einsturzende Neubauten, il punk e proto-punk americano (Mc5, Stooges, Ramones), il cantautorato italiano (Franco Battiato in primis) e la dark-wave britannica (dai PIL ai Bauhaus). Ma attenzione, perchè i CCCP non sono l’ennesima copia di una band straniera: sono una band provinciale italiana che ha deturpato tutto quello che poteva essere tradizionalmente italiano, dalla canzonetta al ballo liscio, e l’ha tritato in un frullatore punk a velocità supersonica.
Il 1986 è un anno magico per il rock italiano, due anni prima, infatti, era uscito “Siberia” dei Diaframma e l’anno precedente “Desaparecido” dei Litfiba, due dischi-chiave per la nascente scena “new wave”. Ma rispetto a Litfiba e Diaframma, i CCCP sono ancor più radicali ed eversivi. Nessuno prima di loro aveva osato “condire” le canzoni italiane con simili dosi di violenza, disperazione e paranoia.
Ed è in questo fervore, che il neonato gruppo pubblica, il 27 novembre del 1986, il capolavoro 1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi – Del conseguimento della maggiore età, spesso abbreviato con il titolo Affinità e divergenze.
Il titolo rimanda a un editoriale del 31 dicembre 1962 del Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito Comunista Cinese.
C’è sarcasmo, critica, voglia di urlare ma allo stesso tempo di restare nell’enigmatico di ciò che contraddistinguerà tutta la carriera della band targata Ferretti/Zamboni che poi si protrarranno in progetti e cambi repentini sempre audaci e di grande spessore ( cosa che poi saranno i più volte citati C.S.I.)
Le loro provocazioni sarcastiche – che dal vivo si accompagnano al circo surreale di Danilo Fatur (Artista del popolo) e Annarella Giudici (Benemerita Soubrette) – si riflettono fin nella confezione dell’album. La copertina è beffardamente griffata in stile “socialismo reale”, con l’effige del “compagno Togliatti” sullo sfondo.
L’originale è in vinile rosso, firmato “Attack Punk Records”, con su un lato il ritratto di un punk, sull’altro la scritta “Punk filosovietico/ musica melodica emiliana”.
In apertura arriva subito l’urlo-proclama di “CCCP”, con le chitarre gracchianti e un ritornello che mette subito in chiaro le (in)certezze politiche del gruppo: “Fedeli alla linea e la linea non c’è”. Un nugolo di feedback, un basso indolente e una batteria elettronica che è una pulsazione continua sono il marchio di fabbrica della band, che torna subito alla carica con uno dei suoi inni: “Curami”. I CCCP cantano le psicosi di una generazione di zombie, che percorre gli anni 80 di traverso, sentendosi costantemente fuori posto.
Per questo, più che l’amore e i buoni sentimenti, invocano una cura, una medicina che liberi la mente dagli incubi paranoici da cui è ossessionata: “Prendimi in cura da te, curami, curami”, implora Ferretti con il suo canto rantolato, tra il giro punk della chitarra e i tintinnii stranianti di uno xilofono; poi, la canzone sembra quasi incantarsi nella reiterazione ossessiva (altro tipico espediente dei CCCP) della frase “Solo una terapia, solo una terapia!”. Alla fine, non restano che il bit meccanico della batteria elettronica e gli ultimi spasmi dello xilofono.
La richiesta di una possibilità si manifesta nella ripetizione innumerevole, ossessiva e frenetica del verso “Solo una terapia”. “Mi ami?” è dissacrante, ironizza sull’atto sessuale riducendolo ad “un’erezione triste”, senza sentimento alcuno. L’atmosfera di “Mi ami?” però sbatte con la cupa e mitica “Trafitto”, che si apre con un intro di chitarra acustica. Questa canzone esprime il vuoto e la mancanza di punti di riferimento, che si manifestano in una ricerca infruttuosa, “cerco una persona che mi sia da cuscino, fragili desideri a volte indispensabili, a volte no.”
La complessità paranoica dei CCCP emerge anche nella successiva canzone “Valium Tavor Serenase”, un’inconsueta canzone sugli psicofarmaci, sui tranquillanti, medicine che curino il male di vivere, che sono tipiche della società occidentale, il cui benessere economico spesso non corrisponde all’equilibrio psichico. Geniale l’inserimento all’interno della canzone di un liscio in puro 3/4: il punk che incontra Casadei.
I capolavori dell’album, a mio modesto avviso, arrivano alla fine dell’album, con la traccia “Emilia paranoica”, canzone schizofrenica con all’interno una batteria alienante, che inizia con delle voci in falsetto strazianti e esplode in un’accelerazione devastante, un caos formale e mentale, un bombardamento interiore. Altro brano tra denuncia e ironia è Io sto bene, dove sarcasticamente Ferretti dipinge un essere passivo e ipocondriaco, senza speranze. “Non studio, non lavoro, non guardo la TV, non vado al cinema, non faccio sport” dove torna in auge lo specchio di una generazione che non sa come stare e dove stare, che brancola nell’edonismo degli ’80.
Insieme a 17Re dei Litfiba, Affinità e Divergenze è per me l’album simbolo di una nuova fase del rock italiano, l’alba di quella new wave che portò negli anni a seguire un percorso fatto di sperimentazione e libertà, distaccata dalle etichette o dalle major.
E’ la celebrazione dell’essere artisticamente validi ed eclettici, sospesi tra ironia e quotidianità di provincia. E’ il rock che si radica nei propri territori, nell’esaltazione di una provincia capace di portare il proprio urlo nelle più grandi città o addirittura nazioni.