EDITORIALE – Me lo sono sempre chiesto con enorme difficoltà. Possibile che quel genio assoluto di David Bowie possa avere un brano all’interno della sua discografia che possa emergere su altri? Il Duca Bianco é stato capace di regalarci pezzi memorabili e inarrivabili, basti pensare a Heroes, Life On Mars, Starman o Space Oddity. Partendo dal presupposto che ogni canzone é soggettiva per gusti, ricordi, armonie, parole, melodia o significato, posso arrivare a dire che Moonage Daydream è il pezzo di Bowie che mi emoziona di più.
Il brano fu originariamente inciso nel gennaio 1971 in una versione demo abbastanza trascurabile rispetto a quella che sarebbe stata reincisa qualche mese dopo per l’album Ziggy Stardust. Nella tematica dell’album, è il brano in cui il messia alieno si rivela nella sua combinazione di ribellione, e libertà sessuale e religiosa: l’archetipo della rockstar.
Si parla di anni in cui la trasformazione e la nobilitazione del rock diventano una vera e propria arte: non più semplice musichetta, ma opera; non più fenomeno di costume, ma corrente culturale. In quanto tale, il rock si dota di propri canoni interni e instaura rapporti con l’arte che l’ha preceduto, e così facendo si assicura un posto nella storia e inizia ad esercitare una profonda influenza su ciò che viene dopo.
Ma cosa succede, esattamente, a un movimento che per sua natura è internazionale e investe artisti delle più disparate condizioni sociali, economiche e culturali? Avviene quello che chiunque può aspettarsi, e cioè una frantumazione in diverse sottocategorie. C’è, ovviamente, chi le abbraccia più o meno tutte (Velvet Underground) e chi invece trova successo nel consolidare una propria immagine intellettuale e iperartistica (Pink Floyd).
David Bowie attraversa tutto ciò, ponendosi all’incrocio di queste varie correnti. Ma stiamo parlando di un Bowie complessivo, un col-senno-di-poi che tiene conto dell’intera carriera del Duca Bianco: il 16 giugno 1972, cioè cinquantadue anni fa, Bowie pubblica The Rise and Fall of Ziggy Stardust and The Spiders from Mars, concept atipico che si inserisce, ad un primo ascolto, nel filone del glam rock che tanta fortuna stava avendo. Sono gli anni, non dimentichiamolo, dei Roxy Music e di Transformer di Lou Reed e al rock piace travestirsi, trasformarsi, diventare altro rispetto all’autore, diventare alieno: e così, Bowie crea questa figura, Ziggy Stardust, un ragazzo che, grazie all’aiuto degli alieni, diviene l’ultima rockstar prima della sua caduta e dell’Apocalisse che distrugge l’umanità. Una cornice narrativa (che però viene semplicemente accennata nel disco; le grandi narrazioni vengono lasciate agli Who) che contiene, in sé, tutti i nuclei tematici e musicali del Bowie che era e del Bowie che sarebbe stato.
Bowie cerca di definire la mitologia di sé stesso come Ziggy Stardust, un “alligatore” (forte, senza rimorsi), un mamma/papà (senza un genere sessuale specifico, al di là di ogni definizione), un invasore spaziale (alieno, distante, incomprensibile, “altro”), una “puttana del rock’n’roll” che non ha tabù né limiti per arrivare al successo e alla fama.
Come spesso accade a Bowie nei primi anni 70, il rock è spesso associato al sesso: le due cose si intersecano, si sovrappongono, si rincorrono. Ed ecco che Moonage Daydream, pubblicato nell’agosto del1971, diventa il “sogno ad occhi aperti dell’era lunare” è un momento di estasi che è anche sessuale.
Ma cos’è questo “sogno ad occhi aperti (o diurno) dell’era lunare”? Nel 1969 il primo uomo mise piede sulla luna per la prima volta, e da quel giorno per gli anni a seguire le missioni Apollo si susseguirono. Sicuramente è stato un evento che ha segnato un’epoca, tanto da poterla tranquillamente ribattezzare come l’era della luna. All’epoca il sogno di colonizzarla e abitarla era ancora vividissimo, eccitante e pauroso. Ecco perché quel “freak out” che ha un’accezione di paura. D’altronde nel disco si parla di alieni.
Ma quello di “dar fuori di testa” è quasi un invito: forse l’Uomo delle Stelle è sceso sulla terra per dare una scossa, per rompere tutti i tabù dell’era lunare: le persone devono come risvegliarsi da questo sogno.
Un’altra interpretazione, più lirica, potrebbe essere il riferimento agli antichi culti che adoravano la Luna: la dea della Luna era la dea della magia, del subconscio, dell’ispirazione poetica. Il sogno diurno dell’era lunare potrebbe rappresentare quindi un percorso estatico e istintivo verso la creatività.
Moonage Daydream, citata da Trevor Bolder, Mick Woodmansey e dal produttore Ken Scott come la migliore traccia dell’album The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars del 1972, al quale rimane inevitabilmente legata, Moonage Daydream venne incisa, come già detto, in una versione differente per questo singolo circa un anno prima.
Nel 2002 il brano ha dato il titolo al libro fotografico Moonage Daydream: The Life And Times Of Ziggy Stardust pubblicato da Mick Rock, autore dei primi videoclip di David Bowie, che documenta attraverso centinaia di scatti gli anni della cosiddetta “Ziggymania“, ovvero il biennio 1972-73.