EDITORIALE – Un uomo esce dalla porta principale di casa sua, si confonde tra le nebbia e diventa un fantasma. Non sa dove va, ma sa da chi sta fuggendo. Il suo sogno è volare in alto, appena sotto la luna e, da lassù, guardare la ragazza che ama, per distinguere la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Il semplice arpeggio di una chitarra, affilata e pungente come una lama, accompagna la voce di Adam Duritz (cantante della band) mentre racconta la storia di un uomo che, lasciandosi alle spalle persone e ricordi, sta rischiando di lasciare indietro anche se stesso (“Round Here”).
Storie ambientate in America; che sia l’America delle metropoli o l’America delle città che passano inosservate, come “Omaha“, nel mezzo degli Stati Uniti (“Somewhere in middle America”), la sostanza non cambia. Non ha importanza il posto in cui si svolgono i fatti perché la gioia, l’invidia, la passione, l’innamoramento, la malinconia sono uguali per tutti, dappertutto, ovunque uno si trovi.
Non si possono avere dubbi circa la genuinità delle storie che i Counting Crows raccontano, né tantomeno sul loro modo di raccontarle. Basti ascoltare Duritz in “Round Here“, e la sua voce che, senza nemmeno rendersi conto, si trasforma nella voce di una ragazza mentre combatte contro i pensieri che le affolano la testa (“I know, it’s only in my head/ shhhhh..I know, it’s only in my head“).
Il protagonista di “Perfect Blue Building” è molto simile alla ragazza appena citata. Anche lui sembra voler smettere di sognare, svegliarsi da quel coma in cui cade quotidianamente, il coma che gli permette di fuggire, anche solo per un istante, dal grigiore e dalla monotonia vita.
“August And Everything After“, pubblicato il 15 settembre di trentuno anni da, prosegue con “Anna Begins“, ed ancora con storie di donne e tormenti. Una relazione nata per caso, quasi per gioco, senza alcuna pretesa considerando l’incolmabile lontananza fisica delle due persone (America ed Australia), una relazione che si trasforma, con il tempo, in un amore irrinunciabile. Dall’atmosfera malinconica delle strofe si passa alla rinascita dei ritornelli. Il cambio melodico (da minore a maggiore) rappresenta nel migliore dei modi il passaggio dalla ragione alla passione, dai consigli degli amici di troncare il tutto (“My friend assures me… It’s all or nothing“), e le preoccupazioni di lei circa il rapporto in maturazione (“-If it’s love- she said-/then we’re gonna have to think about the consequences-“) al rapporto fisico, carnale ed erotico, che sembra risolvere in un istante ogni problema (“but she can’t stop shaking/ and I can’t stop touching her...”).
“Time and time Again” è una canzone sulla fuga da tutto e da tutti, verso luoghi disabitati come il deserto della California. Quì è l’hammond a padroneggiare introducendo “Rain King”, traccia divenuta poi un cavallo di battaglia dei Counting Crows nelle esibizioni dal vivo e, dal punto di vista strumentale, vicina alla celeberrima “Mr. Jones“, che ha lanciato la band di Berkleey al successo mondiale. Adam Duritz non è stato però eccessivamente legato a questo singolo-bomba, o meglio, ha fatto di tutto per non esserlo.
La realtà è che i Counting Crows amano “Mr. Jones“, essendo una canzone sui sogni, sulla speranza, sul desiderio e la volontà di arrivare al proprio obiettivo, ma allo stesso tempo una canzone sulla volatilità delle cose, che una volta raggiunte non potranno durare per sempre, nonostante si faccia di tutto per credere il contrario (“when everybody loves me/ I’m going to be just about as happy as I can be”). Il Mr. Jones di cui parla la canzone è Marty Jones, ex bassista dei The Himalayans e amico d’infanzia del cantante Adam Duritz. Il testo racconta delle aspirazioni dei due di avere successo come musicisti e di diventare “grandi stelle”. Il brano è considerato un inno pop rock degli anni 90.
In “Sullivan Street” invece si vola fino a San Francisco, passeggiando per le strade deserte nella notte fonda. Pianoforte, batteria, e chitarra acustica (niente più) sono gli ingredienti di questo pezzo che tratta l’inevitabilità del lasciarsi, come ammetterà poi lo stesso Duritz. Da sottlineare la seconda voce della tutt’altro che famosa Maria McKee alla quale il cantante dei Crows ricambierà il favore collaborando nel suo futuro album. “Raining in Baltimore” è probabilmente la perla dell’intero album. “È una canzone sull’essere a 50 miglia di distanza da nessun luogo e voler essere da qualche altra parte con qualcuno che ti manca, realizzando, però, che sei stato tu a costruirti questa situazione. È la canzone più triste e amara dell’album a mio avviso“. Spiegherà molto tempo dopo Duritz.
“Raining in Baltimore” dopotutto non è nemmeno una canzone qualsiasi, essendo il pezzo che poi prenderà il posto di “August And Everything After”, quello mai inciso, che darà il nome all’album ed il cui testo apparirà nella copertina.
Ora, ad anni di distanza, pensandoci bene, l’esclusione dalla scaletta potrebbe essere giustificata. I membri della band diranno che il pezzo omonimo del disco stava rubando troppo tempo per la sua registrazione e non ne erano del tutto soddisfatti. In effetti a cosa può servire una canzone così? In fin dei conti in queste undici tracce c’è raccontato già tutto. Tutto riguardo ad “Agosto e a tutto quello che venne dopo…”.