#TellMeRock, i 33 anni di “Blood Sugar Sex Magic” e quel ‘ponte’ che lanciò i Red Hot Chili Peppers

EDITORIALE – Hanno impiegato parecchio i Red Hot Chili Peppers per confezionare il loro capolavoro: sette anni di attività ufficiale e ben cinque dischi, a smentire la consolidata regola che vuole i gruppi (specie quelli di successo), offrire il meglio di sé agli inizi della carriera. A seguire l’appena meno incisivo Mother’s Milk, che aveva registrato il debutto del chitarrista John Frusciante (dimissionario nella primavera del 1992 ed evento che sarà da ispirazione per “miti”, libri e film), il debutto per la Warner Bros con Blood Sugar Sex Magik, arrivato il 25 settembre 1991, sancisce la raggiunta maturità del suono del quartetto californiano.

Un’incandescente miscela di rock’n’roll, opportunamente punkizzato e funk dagli accenti hip hop, insaporita da aperture stile anni 60 in odore di psichedelia, per 17 brani all’insegna del divertimento, delle allusioni sessuali, più o meno esplicite, dell’energia allo stato puro scandita dal basso del vulcanico Flea, dalla batteria fantasiosa di Chad Smith, dal virtuosismo spontaneo di Frusciante e dalla voce camaleontica di Anthony Kiedis.

Il tutto governato dal produttore Rick Rubin, abilissimo nel liberare in modo più che efficace la carica che i Red Hot avevano fino ad allora involontariamente compresso.

Nonostante l’indirizzo non proprio easy, l’album spalancò alla band californiana, la strada delle grandi fortune commerciali soprattutto grazie a una accattivante ballata, dal titolo Under The Bridge.

“I giorni dell’eroina, ecco cosa mi ricordano questi tempi. I giorni dell’eroina e del ponte. Di Ione Skye e del sangue. Di quando stavo male come un cane. Come adesso…più o meno”.

Parole di Anthony Kiedis che sta cercando disperatamente da tre anni di ripulirsi e venirne fuori. Sta meglio, molto meglio, ma non riesce a convincersi. Come spesso accade a chi si sta disintossicando, non si sente ancora a suo agio nel nuovo mondo, quello abitato da chi non si droga e, al tempo stesso, avverte che si sono sfilacciati i rapporti con chi divideva le dosi con te.

Anche il fatto che John Frusciante e Flea non lo considerino nemmeno quando vanno a fumarsi un po’ di marjuana, gli pare non una delicatezza ma un affronto insostenibile. Quei John e Flea che stanno registrando con lui l’album “consacrazione” Blood, Sugar, Sex Magik, pubblicato il 24 settembre del 1991.

Kiedis sapeva bene cos’era la disperazione, ma non aveva ancora provato la depressione. La sente ora, nell’aprile del 1991, mentre torna a casa in macchina dalle prove. Così ripensa ai giorni terribili dell’eroina, che gli sembrano pericolosamente simili come generatore di sensazioni. Ripensa a Ione Skye, attrice inglese e figlia del cantante Donovan e che, prima di sposare Adam Horowitz dei Beastie Boys, aveva avuto con Anthony una storia bellissima e non facile allo stesso tempo, perché si amavano e appartenenevano ma l’amore di lei era quotidianamente intossicato dalla dipendenza di lui.

Così il cantante dei Red Hot arriva a casa e scrive una poesia. La intitola Under The Bridge, perché fa riferimento a quel ponte di Los Angeles sotto il quale si davano appuntamento le gang che era costretto a frequentare per avere la droga, perché erano loro a gestirne il traffico. Arrivarci era difficilissimo, e servivano parole e contatti giusti e fidati.

Kiedis scrive di getto il ritornello: “Sotto il ponte in città è dove mi succhiavo il sangue, è dove non mi bastava mai, è dove dimenticavo il mio amore, è dove buttavo via la mia vita”. Mentre scrive avverte un senso di solitudine quasi insopprimibile. Pensa che non ci sia nessuno accanto a lui, nessuno a parte Los Angeles. Scrive: “ A volte mi sento come se non avessi una compagna, come se la mia sola amica fosse la città dove vivo, la città degli Angeli, sola come me e con cui piangiamo insieme” (intro della canzone).

Anthony finisce la poesia e la mette in un cassetto.  E’ il produttore Rick Rubin a trovarla per caso, mentre scartabella tra gli appunti e le carte del cantante. Ne resta affascinato. Chiede a Kiedis di farla leggere agli altri Peppers, ma il cantante non ne è entusiasta.

E’troppo personale, non c’è gioia, solo dolore, non è per la band e non serve per una canzone. Ma Rubin insiste e alla fine Anthony accetta. Non appena hanno finito di leggerla , Flea e John Frusciante si precipitano agli strumenti. John – che come ben sa Enrico Brizzi, “non è ancora uscito dal gruppo”, compone di getto uno degli intro più belli della sua carriera, poi lima e perfeziona con gli amici.

Tutti sono esaltati, Frusciante invita persino la madre a cantare nel coro e Under The Bridge diventa un successo clamoroso.

Tutti vogliono sapere dove sia quel ponte. Kiedis non lo dice, ma la sua risposta è una sola: “quel ponte è alle spalle”.

Tutto l’album gira intorno a questa malinconica ballata, che però comprende anche il pezzo ben più vigoroso Give It Away. E’ la canzone dei RHCP per eccellenza, quella che non deve assolutamente mancare nei concerti, che fa saltare il pubblico e rimbalzare Kiedis e Flea da una parte all’altra del palco. Scelta come singolo apripista, alcune radio si rifiutarono di mandarla in onda aggiungendo “tornate quando nelle vostre canzoni ci sarà della melodia”. È uno scioglilingua memorabile che si attacca al cervello, ispirata da una conversazione che Anthony Kiedis ebbe con Nina Hagen. Sembra una canzone che Anthony si è cucito addosso. Dubito che cantata da chiunque altro farebbe lo stesso effetto.

L’apertura del disco è affidata a “The Power Of Equality”, un funk con i muscoli in evidenza e un Kiedis che spara raffiche di parole che non lascia un attimo di respiro, sempre sugli scudi per un testo che parla dell’ingiustizia del razzismo e di politici che si sfregano le mani mentre intravedono il realizzarsi delle proprie ambizioni. La canzone si conclude con un malinconico “Whatever happened to humanity?”.

 Quando pensi di poter prendere un respiro profondo e meritato ecco che parte, senza pause, “If You Have To Ask”. La traccia si distende su una chitarra funk accompagnata da basso e batteria che le danno la giusta profondità, Kiedis passa dal cantare con voce cupa nella strofa fino a passare alla sua classica acidità tagliente nel ritornello accompagnato dai cori di Frusciante. Da segnalare l’assolo in chiusura. La canzone è stata scelta come ultimo singolo per la promozione dell’album.

 Alla terza tappa arriva la prima sorpresa e si chiama “Breaking The Girl” con un sound al quale i fan della prima ora non sono di certo abituati. Ballata semiacustica che vede un Chad Smith in splendida forma e che riesce a trasformare dei rottami presi da una discarica in efficienti percussioni (che suona anche Flea). Il testo parla dell’incapacità di Kiedis di instaurare relazioni durature con le donne, pesante eredità lasciatagli da suo padre (chi ha letto l’autobiografia capirà in pieno). Anche questo pezzo è stato scelto come singolo. E per la serie “L’angolo delle curiosità” nel video del brano, così come succede per “If You Have To Ask”, compare il chitarrista a tempo determinato Arik Marshall sostituto del fuggitivo Frusciante

Non c’è molto da immaginare su una canzone che si chiama “Funky Monks”. La leggenda narra che sia stato il cantante a suggerire al Fruscio tutti i passaggi. Il brano si caratterizza per il botta e riposta delle voci e per gli improvvisi cambi di ritmo. La chitarra è aggressiva e graffiante nell’assolo dell’intermezzo prima di tornare sulla traccia da cui si era partiti. 

“Suck My Kiss” è una canzone che porta il marchio dei Red Hot stampato a fuoco. Cavallo di battaglia negli incendiari live e un Flea che picchia sul basso con rabbia. È un vortice potente e trascinatore. Il testo gioca sulla sonorità delle parole e inizia a venire fuori la sessualità che esploderà inesorabile più avanti nel disco. Terzo singolo estratto e canzone simbolo negli anni a venire. 

E veniamo a uno degli episodi meglio riusciti (non solo del disco ma dell’intero repertorio del gruppo, a parere di chi scrive). Dopo i toni aggressivi dei baci succhiati, l’altalena scende e l’atmosfera si fa più intima. “I Could Have Lied” è una ballata struggente di un amore non ricambiato. Nota di merito grande come una casa a Frusciante. Canzone amatissima dai fan ma troppo poco conosciuta al di fuori del circuito. Una perla rara. 

Ancora nessuna pausa, nemmeno il tempo di mettere da parte la delusione d’amore che già si riprende con i ritmi serrati di “Mellowship Slinky in B Major”. Si sente un bel basso pulsante e un testo tra l’ermetismo e il nonsense. E d’altronde la canzone si chiama Morbido Andante in Si Maggiore.

Il Rock-funk trasporta l’ascoltatore in “The Righteous & The Wicked”. Il brano è aggressivo con schitarrate molto hard e un interessante gioco di voci nel ritornello. Tutto al posto giusto e Kiedis che canta con una certa cattiveria a noi ben nota.

 “Naked In The Rain” è roba di Flea. Il bassista sale in cattedra con prepotenza per dare vita a una canzone saltellante e divertente con un memorabile assolo di basso. Agli altri membri il compito di seguirlo in una scorribanda scalmanata. Si canta di sfiducia verso il genere umano e la voglia di far parte del regno animale: “Going to the jungle where the elephant roams/ Got to get away gonna make it my home”, e più avanti “Losing my taste for the human race/ Social grace is a waste of time/ It’s absurd when I look around/ So sublime that we blow my mind”. 

“Apache Rose Peacock” è la storia di una ragazza che eccita Anthony e glielo fa venire duro (che novità!). Si respira aria di New Orleans, nominata più volte insieme a Louis Armstrong. Flea torna la suo primo amore, la tromba, inserita a più riprese nella canzone. Bello il gioco di parole Pea (=pisello) Cock (=c***o). 

“The Greeting Song” è forse l’unica nota dolente dell’album. Piace a molti fan, non a me, e nemmeno ai membri della band. Inserita nel disco per volere di Rick Rubin che voleva a tutti i costi una canzone che parlasse di macchine e scorribande. In fin dei conti il risultato è abbastanza convincente, un pezzo di rock classico e scalpitante con la chitarra sul piede di guerra. A mio parere sarebbe potuta essere sostituita con “Sikamikaniko”, una delle ottime canzoni scartate ma che si fa notare per la potenza e l’irruenza punk. 

“My Lovely Man” dimostra come il ricordo di Hillel Slovak, chitarrista e amico scomparso per overdose nel 1988, sia sempre vivo nel cuore dei compagni. Questa canzone dal testo molto profondo è tutta per lui: “just in case you never knew/ I miss you slim/ I love you too/ See my heart it’s black and blue/ when I die I will find you”. Ma se pensate che sia un pezzo moscio vi sbagliate di grosso. È un rock energico, con ritmi cangianti che ora si abbassano e ora ti portano in orbita. Un’altra delle migliori della raccolta.Siamo quasi alla fine, ma prima di arrivare alla degna conclusione di un tale capolavoro manca il pezzo da oltre otto minuti, infarcito di volgarità sessuali.

In “Sir Psycho Sexy” Kiedis dà vita al suo alter ego ossessionato dall’eros. Qui c’è tutto ciò che di più volgare ed esplicito possiate mai immaginare. “There’s a devil in my dick and some demons in my semen” ne è la frase simbolo. Il brano è una jam session psichedelica che viaggia su territori creati dalla mente perversa dei suoi autori. Capolavoro della letteratura erotica e genialità musicalmente libidinosa.

La Diciassette è l’ultima. Si tratta di “They’re Red Hot” cover di Robert Johnson. Velocizzata all’inverosimile, punkeggiante, con il testo impossibile da seguire. Un minuto e dodici secondi. Sono i Red Hot. Il successo è folgorante, e non potrebbe essere altrimenti per un disco così completo e così innovativo, a tal punto da portare la band a cambiare i propri meccanismi usuali. Le copie vendute sfiorano i 14 milioni. Lo show business ingoia Frusciante che già indebolito dall’abuso di eroina lascia il gruppo nel bel mezzo del tour mondiale. Il disco consacra i Red Hot Chili Peppers e li colloca ai piani alti della musica rock. Blood Sugar Sex Magik da alla band quella popolarità mondiale che crescerà nel corso del decennio trovando il suo picco con Californication.

Continueranno però poi a cambiare i Red Hot Chili Peppers, e a raccogliere consensi anche molto più vasti rendendosi magari anche commerciali in alcuni album: sono però le architetture di Blood Sugar Sex Magik, solide e assieme ardite, a sostenere la loro leggenda.

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