EDITORIALE – Diamond Dogs è un concept album, realizzato dopo i fasti di Ziggy Sturdust. David Bowie narra di un mondo dove i cani diamante controllano il mondo seminando terrore e morte. L’album è ispirato al romanzo di Orwell “1984”, e anche se Bowie non ricevette i diritti per la pubblicazione sono stati conservati riferimenti evidenti sia nei testi che e nei titoli dei brani.
La trama del romanzo si intreccia ad una visione futuristica apocalittica in cui il personaggio principale questa volta è un gatto che vive nella città Hunger City. Il soggetto cambia, ma il modo di narrare la sceneggiatura è ormai quella tipica di Bowie che costruisce un’ambientazione ricca di particolari e personalissima in cui far vivere i suoi personaggi. Si evince subito dalla copertina di Guy Peelaert che il regista e l’attore principale è lo stesso di Ziggy, ma questa volta il glam viene sostituito da un diffuso senso d’inquietudine. Ciò che cambia è anche la band che lo accompagna, non ci sono più gli spiders from mars ma lo spirito con cui l’artista ci proietta nel suo mondo è lo stesso.
Future Legend è un breve prologo che introduce la title track Diamond Dogs: una rockeggiante ballata che narra della venuta dei cani diamante. Da essi non si può scappare e l’unico rimedio per sottrarsi alla fine imminente sembra essere trovata nel brano successivo Sweet Thing che si costruisce sulla poliedrica voce di Bowie e sulla indimenticabile trama melodica che crea quell’atmosfera “dark” che segnerà il disco.
L’album Diamond Dogs, pubblicato il 24 maggio del 1974, si può reputare, sia per il tema trattato che per la crudezza dei testi con cui viene narrato e per le sue atmosfere cupe, uno dei lavori tra i precursori del movimento punk e addirittura di quello dark che lo seguirà dopo qualche anno.
Sweet Thing evidenzia egregiamente il paesaggio apocalittico in cui si muovono i personaggi di questa nuova opera di Bowie ed è talmente bella che viene ripresa dopo Candidate: intramezzo che crea una sequenza di tre brani che segnano l’album e il primo lato.
Il ritmo si fa incalzante, i testi diventano più crudi e amari. Ecco introdotta, da un prodigioso pianoforte e da una chitarra stridente, la batteria veloce ed ansiosa ed il basso che segna il ritmo, che ci lasciano immaginare i cani diamante che corrono per sbranare. Rebel Rebel è l’hit di Diamond Dogs, “Tu tu du du du, du du du” il ritornello trascinante che chiude il primo lato.
Pensata in origine per un musical su Ziggy Stardust previsto per la fine del 1973, Rebel Rebel rappresentò l’addio ufficiale di David Bowie ad un movimento musicale ormai in declino come il glam rock, che lui stesso aveva contribuito a lanciare qualche anno prima e che dalla fine del 1973, ma soprattutto dall’inizio del 1974, aveva cominciato a riempire le classifiche di imitatori della seconda generazione come Suzi Quatro, Alvin Stardust e i Bay City Rollers.
Il cantante non era comunque l’unico ad essersi accorto che il glam rock stava inevitabilmente confluendo nel pop e che ciò ne avrebbe decretato la fine. Nel novembre 1973 l’album Stranded dei Roxy Music, il primo senza Brian Eno, segnò il loro saluto alle sonorità glam e altrettanto fecero i Mott the Hoople, con il loro ultimo brano di successo Saturday Gigs, e i T. Rex con un singolo che iniziava con il verso significativo «Whatever happened to the teenage dream?».
Stilisticamente la canzone evidenziava un debito nei confronti dei Rolling Stones, sia nell’interpretazione vocale di Bowie in puro stile Mick Jagger sia per l’inconfondibile riff di chitarra che seguiva la struttura tipica degli Stones di metà anni sessanta. «È un riff favoloso!», ricordava Bowie nel 1997 in un’intervista con Joe Gore di Guitar Player, «semplicemente fantastico! Quando sono inciampato in quel riff ho pensato “Oh! Grazie!”»
Secondo il biografo Nicholas Pegg non troverebbe fondamento l’ipotesi secondo cui il ruolo di chitarrista solista fu affidato ad Alan Parker, ex componente dei Blue Mink. Bowie stesso suonò la chitarra in Rebel Rebel mentre Parker dette il suo contributo per il brano 1984, come riportato anche nelle note di Diamond Dogs.
Oltre a quella degli Stones, un’altra possibile influenza può essere individuata nell’artista transessuale Wayne County (conosciuto anche come Jayne County), che aveva partecipato a Pork di Andy Warhol a teatro e che da un paio d’anni faceva parte dell’entourage di David Bowie. L’artista newyorkese ha affermato che Bowie trasse in parte l’ispirazione per Rebel Rebel dalla sua canzone Queenage Baby, registrata nel gennaio 1974 dalla MainMan del manager Tony Defries e pubblicata solo nel 2006 su Wayne County at the Trucks. Tra l’altro uno dei versi del brano di County recita «can’t tell whether she’s a boy or a girl».
Rebel Rebel condensa in pochi versi la velocità, il desiderio di ribellione e il bisogno di dare libero sfogo alla propria individualità tipici dei movimenti giovanili e proprio per questo alla sua uscita non dette molte indicazioni sull’oscura e complessa intensità di un album apocalittico come Diamond Dogs
La seconda facciata si apre con una bella ballata bowniana Rock ‘N’ Roll With Me. Una canzone utile a mettere in risalto le strabilianti corde vocali dell’autore. Toccante, altro che commerciale. La cadenza si trasforma, diventa lenta, grave.
We are the Dead è riflessiva e la voce di Bowie è come al solito magnifica. 1984 è anche titolo del romanzo di Orwell a cui l’intero soggetto del disco si ispira, ed inizia con un piano che da vita al ritornello sul quale si basa, ma più di una volta la canzone cambia traiettoria per poi riproporsi sulle stesse trame. Il ritmo incalzante esprime al meglio il senso d’ignoto che si deve trasmettere all’ascoltatore che, attraverso le atmosfere di fiati ed archi create da Bowie e Visconti, viene proiettato nella terra dei cani diamante in cui c’è un grande fratello che ci osserva ed a cui non si può disobbedire.
Grande Fratello (Big Brother), di cui molti, purtroppo, ne cantano le lodi: “someone to claim us, someone to follow, someone to shame us, some brave Apollo, someone to fool us, someone like you” è l’intramontabile ritornello che segna il secondo lato del dell’album. Big Brother è un altro brano che la critica ha accusato di essere commerciale, di essere banale, ma bisogna prendere atto che ascoltato a tutto volume non può non stregare l’ascoltatore. Il disco si chiude con un ritmo frenetico, veloce, il ripetitivo: ” Bro bro bro bro bro bro”. Idea soprafina che lascia stupefatti e che quasi non fa rendere conto che il disco è terminato, che invoglia a ricominciare da capo, per capire cosa è successo e riprovare le stesse sensazioni.
Bowie spiazzò la critica attribuendosi, in quest’album per la prima volta, il ruolo di primo chitarrista che era di Mick Ronson. L’album segna, inoltre, un nuovo e fondamentale tassello nella discografia di Bowie, in quanto lo condusse all’incontro con Tony Visconti, che avrebbe prodotto quasi tutti i suoi lavori per il resto della decade.
La critica, come accennato, accoglierà l’album in maniera molto disomogenea. Una parte lo accoglierà come l’ennesimo grande album del nostro, ma la gran parte accuserà l’autore di una volutamente ed esageratamente fastosa e pretenziosa produzione musicale, cercando di ripetere e ripercorrere i recenti fasti di Ziggy che venne da Marte. Il fatto è che ciò è proprio quello che Bowie desiderava fare, e che alla gente, al suo pubblico, l’album piacque tantissimo (no. 1 in Inghilterra). Diamond Dogs è l’ulteriore reincarnazione dell’artista che nonostante passino gli anni si traveste e si reincarna in un nuovo personaggio, per fare follie e suonare a modo suo il rock & roll che più gli piace. Riascoltandolo oggi, a 49 anni dalla sua uscita, Diamond Dogs è un saggio della potenza espressiva di Bowie che azzecca un brano dietro l’altro, che anche se non ricercati nell’estetica musicale esprimono una carica fortissima.
Tutto il lavoro sarà ispirato dalla droga, come egli stesso ci confiderà dopo qualche anno, e non è paragonabile all’innovazione e allo stato di grazia di Ziggy, ma tuttavia risulta per la sua espressività del tutto eccezionale. Molti dei brani sono semplici ma indimenticabili e alla fine l’ascoltatore si immedesima in questo mondo e si sente parte della scena fatta da creature mezz’umane, rimanendo colpito, a volte scioccato. L’ascolto di Diamond Dogs ci sorprende ancora oggi a differenza di tanti capolavori che con il tempo sono stati smussati ed hanno perso vigore, tempra, piacere nell’ascolto. Molti dischi che un tempo furono considerati pietre miliari oggi sono dei fiori appassiti, quasi dimenticati, questo invece rimane freschissimo e più passa il tempo più diviene un mito per coloro ai quali è piaciuto già oltre cinquanta anni fa. Il risultato è ottimo, altro che passo falso, altro che banale.