EDITORIALE – I primi vagiti furono consumati al tramonto degli anni ’60 con l’adolescenziale “From Genesis To Revelation”; l’alba dei ’70 portò in serbo quel “Trespass” ancora in parte acerbo, ma dal quale si iniziò a delineare il suono di quella che in Italia divenne di lì a poco la band progressive per antonomasia, culla di personalità che avrebbero scritto pagine importanti anche in brillanti percorsi solistici.
Ma l’anno di grazia e della svolta è il 1971, con una data ben precisa: 12 novembre. C’è un omicidio che si consuma tra le mura di un ospedale ed un carillon che continua a suonare la stessa canzone, una vecchia canzone di Nat King Cole, i sogni e le visioni del signor Peter Gabriel iniziano a prendere forma in Nursery Cryme (occhio al Cryme del titolo, in linea con la moda del periodo che amava storpiare parzialmente i nomi conservandone il suono) che significa innanzitutto The Musical Box, immortale mini suite di oltre dieci minuti che si dipana da impercettibili e timidi accordi di chitarra e passando attraverso assoli di flauto ed intermezzi tipicamente rock approda ad un esplosivo finale in crescendo. Ancora oggi è considerato un capolavoro del rock progressivo, che cambia ogni pochi secondi e traccia la via a nuove sonorità che ancora sorprendono.
Narra una storia fantastica dal sapore vittoriano, sfiorando i temi della morte, della reincarnazione e dell’amor sensuale. La canzone fu composta da Rutherford, Philips, Banks e Gabriel. Essa nacque da una demo composta da Mike Rutherford ed Anthony Phillips (spesso attribuita per errore al solo Phillips) chiamata F Sharp. A tal proposito ricorda Phillips: “Non ricordavo neppure di averla fatta, questa registrazione… la qualità audio è terribile. Comunque, è principalmente opera di Mike.”
Gran parte della canzone fu quindi composta da Rutherford e Phillips. I due stavano sperimentando accordature bizzarre sulla chitarra, accordando le ultime corde in fa diesis, e crearono tutta la prima sezione acustica e la seconda sezione, quella rock. Secondo Phillips, l’intro e la successiva sequenza di accordi erano di Rutherford (Phillips aggiungeva degli arpeggi), mentre la sezione rock era di entrambi, con Rutherford che tirò fuori i due accordi di base, e Phillips che aggiungeva altri accordi sopra (in seguito eseguiti da Tony Banks con l’organo). Una sezione successiva, più tranquilla, era di Phillips. Tutto il brano fu in seguito rivisto dallo stesso Rutherford dopo che Phillips lasciò la band. La seconda sezione rock, quella con i soli di chitarra e sintetizzatore, fu composta da Rutherford; la sezione conclusiva invece è stata composta da Rutherford e Banks, e fu aggiunta dopo l’uscita di Phillips: gli arpeggi di chitarra a cui si aggiunge poi l’organo sono opera di Rutherford, mentre quella conclusiva, dopo che Gabriel canta “touch me now, now, now now, now” è opera di Banks. Il contributo di Gabriel al brano consiste principalmente nel testo, poiché dal punto di vista musicale i suoi contributi erano relativamente piccoli: il solo di flauto e la melodia.
La svolta musicale è legata anche ai cambiamenti artistici che la band mette in campo. La chitarra dei Genesis non è più nelle mani di Anthony Phillips, sostituito da Steve Hackett, e dietro la batteria si siede per la prima volta un giovanissimo, e per il momento silente, Phil Collins.
Michel Rutherford lascia da parte le mire chitarristiche e si concentra sul basso, Tony Banks inizia a distinguersi come anima artistica e strumentale del gruppo, dietro il suo groviglio di tastiere.
La copertina disegnata dal fedele Paul Whitehead (ripresa in parte nel successivo “Foxtrot”) richiama il tema della nurse assassina che gioca a golf con le teste dei malcapitati neonati, ma la sua lugubre atmosfera non impedirà alla band inglese di affermarsi proprio con questo disco su larga scala nel nostro paese, prima che nella terra d’origine e nel resto d’Europa.
Gli scarsi 40 minuti dell’album sono un susseguirsi di emozionanti affreschi musicali, dove Gabriel e Banks costruiscono racconti mitologici ed impareggiabili allegorie, con il tripudio nella conclusiva The Fountain Of Salmacis, epico e sognante racconto favolistico che narra mitici racconti di ermafroditi e ninfee.
C’è anche il giusto spazio per soluzioni più aggressive, ed è il caso di The Return Of The Giant Hogweed che continua il filone più “hard” iniziato dalla The Knife del disco precedente.
For Absent Friends ed Harlequin sono dei rilassanti intermezzi piazzati strategicamente come a suddividere il disco in diversi atti.
Ma il vero gioiello nascosto è il pezzo che apre il lato B del vinile, la semisconosciuta Seven Stones un brano da brividi che racconta di avventure marinaresche, strategicamente seguito dalla disimpegnata Harold The Barrell, simpatico siparietto su un ubriaco che decide di gettarsi da un cornicione, e nella quale è possibile notare quanto la voce di Collins mutuerà da quella di Gabriel (qui a cantare è proprio Peter, non lasciatevi ingannare dalle apparenze).
Onirico, fiabesco, denso di grandi suggestioni, Nursery Cryme è il primo capolavoro dei Genesis dell’era Gabriel, disco fondamentale del rock progressive inglese, non meno dei successivi Foxtrot e Selling England By The Pound, con i quali costituisce un trittico che permetterà al quintetto inglese di iscriversi nell’esclusivo club delle più grandi band di sempre.