#TellMeRock, i 56 anni di Beggars Banquet, la metamorfosi degli Stones e quel saluto a Belzebù

EDITORIALE – Prima partono le percussioni dal sapore arabo – africaneggiante, poi si aggiungono urletti viziosi sullo sfondo, infine, e in sincrono, con un tocco di pianoforte una voce malevola recita “prego, permettete  che mi presenti…” Piacere nostro… signor Belzebù.

Incipit immortale di un disco immortale, le prime note di quella Sympathy for The Devil che rese grandi gli Stones e il loro ottavo lavoro Beggars Banquet, pubblicato il 6 dicembre 1968.

Era nata come una folk song, ma poi, dopo il suggerimento di Keith Richards di cambiare ritmo, era diventato un samba e questo aveva alterato anche il senso del testo. Non più la storia del lato oscuro di un uomo, ma una celebrazione del demonio. Questo era diventata Sympathy For The Devil.

Come spesso accadeva in quegli anni, Jagger trovò la prima ispirazione nella letteratura. L’incipit, con l’autopresentazione del demonio, era praticamente uguale a quella di Mikhail Bulgakov ne Il maestro e Margherita, un libro che gli aveva regalato Marianne Faithfull.

Altre influenze dichiarate di Sympathy For The Devil, che nella prima stesura si intitolava The Devil Is My Name, sono le poesie di Baudelaire, la Bibbia e i libri di Storia. Nel testo sono citate la guerra dei Cent’Anni (guardavo con gioia mentre voi Re e Regine combattevate per dieci anni per gli Dei che avete creato), la Rivoluzione d’Ottobre (Vagavo per San Pietroburgo quando vidi che era tempo di cambiare, uccisi lo Zar e i suoi Ministri), la Seconda Guerra Mondiale (Guidavo un carrarmato, avevo il grado di generale mentre la guerra-lampo infuriava, e i cadaveri si decomponevano) e gli assassini di Kennedy. L’uccisione di Robert avvenne proprio in quei giorni, così Mick Jagger cambiò il verso Who killed Kennedy in who killed the Kennedys, aggiungendo così un plurale.

Contrariamente a quello che si crede, gli Stones non stavano eseguendo Sympathy For the Devil ad Altamont, quando gli Hell’s Angel uccisero Meredith Hunter. Questa è una leggenda metropolitana: l’uccisione avvenne durante Under My Thumb.

Basta questo brano a far capire come per gli Stones il tempo delle festicciole da Swingin’g London, del beat e del “volemose bene” psichedelico (quanto mai fuori luogo, nel caso di questa band chiamata Rolling Stones), è finito per sempre.

Sta per scatenarsi quello che il giornalista Nick Kent, il quale poi conoscerà gli Stones da molto vicino, ha poi definito “Il vortice oscuro” e che lascerà parecchie vittime sulla strada.

La prima sarà Brian Jones, qui ancora presente anche se suona al massimo un tamburello. Vittima predestinata e sacrificale troppo fragile per affrontare il cambiamento radicale che si prospettava davanti al gruppo: non più giovane e scapigliata band di rock n’roll, ma Mito globale dell’immaginario Rock.

Altro esempio di cambiamento? Nonostante sia stata registrata durante le sessioni di Beggars Banquet, Jumpin’Jack Flash uscì, in origine, come un singolo su 45 giri, il cui lato B era Child Of The Moon.

Che meraviglia la campagna, non si sente un rumore, a parte gli uccellini, e puoi dormire fino a tardi senza che nessuno venga a disturbare. L’ideale per una rockstar, figuriamoci per due. Mick Jagger e Keith Richards sono a casa di quest’ultimo, in campagna e dormono…anzi, dormivano: “Cos’è questo rumore” – chiede Mick, Keith fatica a capire, poi ha un’illuminazione: Jack Dyer, il giardiniere. Stropiccia gli occhi, poi dice: “Oh, è Jack, jumpin’Jack…”

Jumpin’Jack? Curiosa espressione, pensa Mick. I due si preparano, con calma, ovviamente, non dimentichiamo che sono due rockstar. Devono andare in studio perché, come suddetto, è il 1968 e gli Stones stanno lavorando a Beggars Banquet.

Gli altri sono già lì, Bill, Bill Wyman, era arrivato prima di tutti, si era seduto al piano ed era venuto fuori un riff pazzesco. Brian Jones aveva aggiunto le chitarre e Charlie Watts la batteria. Quando Mick e Keith entrano, stanno suonando attorno a quel riff. I due pensano sia fantastico, l’ideale per impiantarci una canzone, ma manca un testo. Così Mick Jagger si ricorda di Jumpin’Jack ed in poche ore il brano è pronto. Come poi dichiarerà in futuro lo stesso leader degli Stones, le sonorità in chiave blues e un po’ “dark”, sono ispirate dai lavori di Lou Reed e dei Velvet Underground.

Jumpin’Jack Flash diventa un successo clamoroso, tutti felici, meno Wyman. Il riff da cui tutto è nato era suo, ma la canzone esce a nome Jagger-Richards, come tutte quelle degli Stones.

La metamorfosi dei Rolling Stones si accompagnerà a grande musica come questa per almeno i successivi tre – quattro anni, e sarà bellissimo.

C’è davvero qualcosa di demoniaco tra i solchi di Beggars Banquet, e non solo nel suddetto sabba in cui si esprime “simpatia” per Lucifero: è un sotto testo di cattiveria che si riflette nel blues rurale più impuro mai messo su disco dalla band fino ad allora (Parachute Woman, Dear Doctor), nel country apparentemente malinconico di No Expectations, nel groove rivoluzionario di Street Fighting Man, nell’empito corale di Salt Of Heart.

Un banchetto d’addio agli anni ’60, con i riff di Keith Richards a dare il ritmo ai baccanali, e tutti quanti a pendere dalle “labbrone” di Mick Jagger.

Epocale è un eufemismo.