EDITORIALE – Blu notte. In lontananza le luci dello skyline. In primo piano una fatale Amanda Lear tiene al guinzaglio una non meno feroce pantera nera. E in modo altrettanto ruggente si apre il secondo album dei Roxy Music, per alcuni superiore al precedente, sicuramente considerato da molti uno dei più alti livelli di raffinatezza raggiunti dall’art-rock.
Siamo nel 1973, più precisamente al 23 marzo di cinquant’anni fa. Le strade di Londra brillano di lustrini, i ragazzi fanno a gara a chi si trucca meglio, il fulmine di Aladdin Sane (Bowie) campeggia su tutte le riviste giovanili e musicali più in voga, anche un lupo metropolitano come Lou Reed si piega allo scintillio modaiolo, mentre personalità come Neu, Genesis, Faust e Mike Oldfield si apprestano a cambiare per sempre il suono della musica pop attraverso sperimentazioni in campo prog, kraut, new wave ed elettronico.
Intanto da oltreoceano giungono perle in campo rock e cantautorato come “Knocking on heaven’s door” di Dylan e l’esordio col botto di Springsteen e Tom Waits (in questo caso il botto è quello del tappo di una bottiglia di buon vino). Siamo nel 1973, c’è gente che vola immersa nei colori della psichedelia londinese, e c’è gente che fluttua nel blu scuro dei Roxy Music.
“For you pleasure”, pubbicato il 23 marzo del 1973, è l’ultimo album in cui il gusto classicheggiante di Bryan Ferry si mescola all’approccio trasversale di Brian Eno per affrescare la notte con suoni morbidi e morbosi, soffusi e confusi, tesi e sospesi, il tutto sostenuto dalle impronte pur flessibili del chitarrista Phil Manzanera e del sassofonista Andy MacKay. E certo non bastano queste poche coordinate per dare l’idea di un viaggio nell’oscurità più patinata e decadente del rock inglese.
Non basta raccontare le vibranti increspature di “Beauty queen” o perché in “Strictly confidential” c’è quanto di più amaro possa uscire dai contrappunti vocali tra Bryan Ferry e coro, tra percussioni marcianti (Paul Thompson)e chitarre stridenti.
Non basta poi parlare dello slancio compulsivo di “Editions of you” o della struggente catarsi in coda alla tetra seduzione di “In every dream home a heartache” (dedicata ad una bambola gonfiabile).
Si potrebbe poi anche spiegare che in “The bogus man” la marzialità kraut si unisce ad un grottesco profumo di magia da club di terz’ordine, o che in “Grey lagoons” scopriamo un’insospettabile apertura come riverberi lunari su onde lacustri, ma anche queste vaghe rappresentazioni non basterebbero ancora a trasmettervi le essenze che rendono questo LP una sfumatura unica e indispensabile in un’ideale discografia fatta di colori notturni.
Basta immergersi nella conclusiva title-track per sognare di sprofondare in una notte vellutata e sospesa per sempre nel 1973, in un vicolo tra un night club e l’uscita sul retro di un cinema dove proiettano classici anni ’50. Ascoltare per credere.
E’ il disco che porta il glam e l’art rock a un livello superiore e nuovo. La miscela di rock e sperimentazione di questo album risulteranno fonte di ispirazione per nuove strade musicali per una miriade di altre band, che attingeranno sia dal sound più sperimentale che da quello commerciale. Bisogna anche ammettere che alcuni brani risentono dell’eccessiva voglia di eccedere ed andare fuori dal comune, risultando poco o per nulla immediati, ma ciononostante il disco sarà di gran successo sia in America che in Europa e ricordato giustamente per la sua sfrontatezza, genialità e sperimentazione.