#TellMeRock, i cinquant’anni di Young Americans. Il viaggio americano di Bowie verso nuove sonorità

EDITORIALE – 1975. Parliamo di un periodo di grande produttività per “l’uomo delle spazio”, praticamente un album all’anno sugli scaffali dei negozi per la gioia dei suoi adepti. Young Americans rappresenta il nono disco da studio del musicista britannico, e viene pubblicato proprio il 7 marzo del suddetto anno dalla RCA Records. Prodotto da Tony Visconti, Harry Maslin, e dallo stesso Bowie, consiste di otto pezzi per una durata appena superiore ai quaranta minuti.

Questo album segna una fase imprescindibile nell’evoluzione musicale dell’artista. Su questi solchi, infatti, appare lapalissiano come David decida di abbandonare quasi del tutto il rock in favore di sonorità più funky e soul, dando vita ad una sorta di “R&B bianco”: una sorta di ossessione per il Duca che, a metà degli anni ’70, si lasciò alle spalle le influenze musicali dalle quali aveva attinto nel passato, per rimpiazzarle con sonorità soul e R&B maggiormente “ritmate”, una svolta stilistica che all’epoca venne accolta con dubbi e freddezza dai fan di vecchia data. Lo stesso Bowie, in numerose interviste, per descrivere le forti influenze “black” della musica contenuta in Young Americans, usò il termine di “plastic soul” (“soul music di plastica”), ma nonostante questo infelice conio autografato, il platter riscosse molto successo negli Stati Uniti; dove l’album raggiunse la top ten in classifica, e la canzone Fame (scritta da Bowie in collaborazione con John Lennon e Carlos Alomar) ottenne il primo posto nella hit parade dei singoli. In Europa le vendite furono decisamente meno entusiastiche.

Inizia l’11 agosto 1974, durante una pausa del Diamond Dogs Tour, la registrazione di Young Americans effettuata principalmente ai Sigma Sound Studios di Philadelphia, in Pennsylvania, dove la leggenda vuole che ci fosse sempre un gruppo di fans radunato fuori, in attesa di conoscere il proprio idolo. Per la registrazione venne tentato un esperimento, ovvero di rendere l’atmosfera dei brani il più possibile dal vivo, come se fossero stati catturati su un palco, con l’intera band che suonava insieme, incluso Bowie al canto, come un unico concerto da apporre su nastro. Secondo quanto riportato dal produttore Tony Visconti, che supervisionò e lavorò in studio al fianco della band: “L’album contiene circa l’85% delle potenzialità che David Bowie sapeva sviluppare e donare dal vivo”. Per creare sonorità soul autentiche, l’artista inglese volle radunare in studio musicisti della scena funk e soul locale, inclusi Luther Vandross, all’epoca agli esordi, e Andy Newmark, batterista degli Sly and the Family Stone. Vandross compose insieme al Duca Bianco il brano Fascination, terza traccia della lista, mentre quella fu la prima volta nella quale Bowie si trovò a lavorare con Carlos Alomar, dando così inizio ad un lungo e fruttuoso rapporto collaborativo, che si sarebbe protratto per circa trent’anni.

La canzone Young Americans, pubblicata come primo singolo estratto, venne incisa e perfezionata in due giorni di lavorazione di sala. Alle sessioni del brano prese parte anche il sassofonista David Sanborn, in una delle sue prime apparizioni in uno studio di registrazione, Bowie aveva preso in considerazione svariati titoli differenti per il lavoro, inclusi Somebody Up There Likes Me, One Damned Song, The Gouster e Fascination prima di optare per il nome conosciuto.

Si aggiunga che Young Americans mise letteralmente in pausa il periodo glam rock di Bowie, incarnato dai personaggi di Ziggy Stardust e Aladdin Sane, e dalle esibizioni fortemente teatrali del Diamond Dogs Tour, e il quadro appare cristallino. I pezzi non possono essere analizzati singolarmente a 50 anni dalla loro uscita, ma un cenno mi pare doveroso.

La title track è estremamente pop anche se assai gradevole con quelle percussioni e i cori femminili, Win fluttua nella stratosfera eterea, mentre Across the Universe, è una cover del famoso brano dei Beatles: sia questa canzone che Fame, una nuova composizione, furono incise agli Electric Lady Studios alla presenza di John Lennon. Per inserire questi due spaccati vennero eliminati in scaletta Who Can I Be Now e It’s Gonna Be Me, anche se poi furono successivamente recuperati come bonus track per la ristampa in CD ad inizio anni novanta.

Fascination gode del massiccio sostegno corale soul e di una chitarra liquidamente magnetica, mentre il sassofono della seguente Right, diventa uno strumento che nel prosieguo della carriera di Bowie assumerà porzioni sempre più significative.

Una voce quella del Duca sempre in forma, in bilico tra toni baritonali e registri classici, ascoltatevi il superfunky di Fame, insomma un buon album che seppellisce gli aneliti rock/glam per impostare una nuova carriera che diventerà decisamente più pop.

Young Americans raggiunge la seconda posizione in classifica nel Regno Unito e la numero 9 negli States, portando in dote una nuova, numerosa, schiera di fan statunitensi. Nel vecchio continente la svolta bowieana viene accolta con parecchie perplessità, invece in America l’album diviene uno spartiacque per il performer inglese.

La stampa americana parlò di Bowie come di un misto tra Frank Sinatra, Elvis Presley, e Mick Jagger, definendolo un cantante e musicista dotato di enorme carisma, capace di soggiogare qualsiasi tipo di pubblico. Il lavoro è stato ristampato in formato compact in quattro occasioni diverse: la prima volta dalla RCA nel 1984, la seconda nel 1991 dalla Rykodisc (con l’aggiunta di tre bonus track), la terza nel 1999 dalla EMI (rimasterizzato in digitale a 24-bit ma senza tracce aggiuntive), e la quarta insieme a un DVD, il 19 marzo 2007, in qualità audio superiore con missaggio in 5.1 dolby surround, e tracce bonus.

Insomma accomodatevi e gustatevi la svolta stilistica del compianto Duca. Grazie ai suoi numerosi dischi Bowie non morirà mai e il suo mito e il suo stile rimarranno presenti negli annali.

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