EDITORIALE – A meno di non apprezzare album riempitivi o concept quali Thick As A Brick (1972) e A Passion Play (1973), i migliori Jethro Tull sono quelli immediatamente precedenti, approdati ad Aqualung dopo un esordio in chiave tradizionalista (This Was, 1968) e due prove più intriganti come Stand Up (1969) e Benefit (1970).
E’ nel leggendario Aqualung, cinquantaquattro primavere compiute ieri, che la band inglese, fortemente caratterizzata dal (forse) canto poco aggraziato ma efficacissimo e, soprattutto dal flauto del leader Ian Anderson, offre il meglio di sé, organizzando una elaborata, imprevedibile ed evocativa miscela di folk, progressive e hard che ha dalla sua anche testi di una certa intensità.
Ne è esempio la epica title track scritta proprio nel 1971 da Ian Anderson e Jeannie Franks, all’epoca sua moglie, la fotografa, attrice e sceneggiatrice che rimase legata al leader dei Jethro Tull dal 1970 al 1974. Per stessa ammissione di Anderson almeno metà del testo nacque da parole o da associazioni di termini che lei aveva pronunciato descrivendo le fotografie di homeless che aveva scattato da studentessa. Una in particolare aveva colpito la sua immaginazione: era la foto di un barbone londinese.

Aqualung, com’è facile dedurre anche dalla copertina dell’album, racconta proprio la parabola di un homeless, di un senzatetto. Era un argomento che Ian Anderson non sapeva come trattare, perché nutriva verso i senzatetto un sentimento ambiguo e contrastato che non di rado generava sensi di colpa: da un lato era attratto dalla loro capacità di vivere senza regole e sovrastrutture, dall’altro non si sentiva mai totalmente a suo agio quando uno di loro gli si avvicinava per strada.
Così provò a renderne romantica al massimo la figura, insistendo sul concetto di spirito libero prima ancora che vagabondo senza casa. Aqualung fu scritta a Los Angeles, in una lussuosa stanza d’hotel, quanto più lontano si possa immaginare dal tema della canzone, eppure divenne la title track di quello che a tutt’oggi rimane uno degli album più riusciti della carriera dei Jethro Tull e dell’intero panorama rock.
Il titolo fa riferimento al rantolo del barbone, simile a quello di un respiratore artificiale Aqualung.
Altro cavallo di battaglia di questo epico album è Locomotive Breath. Il testo parla dell’inesorabile scorrere della vita, paragonata ad un treno che non ha modo di fermarsi perché il vecchio Charlie (old Charlie) ha rubato la leva dei freni. Una interpretazione è che Charlie sia Charles Darwin, il primo uomo ad aver offerto un’alternativa scientifica alla credenza religiosa della creazione come spiegato, invece, nella Bibbia. Secondo questa visione “Charlie” avrebbe rubato quei freni che per secoli hanno condizionato il modo degli uomini di pensare il mondo. Inoltre queste complesse liriche devono considerarsi una metafora sulla vita; infatti il treno, il viaggiare con esso, i binari, hanno un preciso significato simbolico. Secondo un’altra interpretazione, dal momento che nella tradizione scozzese “Old Charlie” è uno dei nomignoli del Diavolo, questi, avendo dispettosamente rubato la leva del freno, ne causa il disastro.
A differenza del testo stampato sul disco, forse per dare una più chiara e dura interpretazione, nell’ultima strofa cantata “old Charlie” diventa “God” (Dio) ed in questo modo il significato è completamente diverso, una visione nettamente pessimistica dello scorrere della vita, come su di un treno dal quale non si può scendere, spettatori inermi del proprio destino perché Dio, l’eterno vincitore (the all-time winner), non consente di modificarlo all’eterno perdente (the all-time loser), e la corsa continua inesorabile fino alla sua morte (headlong to his death). In una intervista del marzo 1971 alla rivista Disc and Music Echo, Ian Anderson disse: “Locomotive Breath è un’altra canzone sul morire, è una analogia dell’infinito viaggio sul treno della vita, non lo puoi fermare, ci devi barcollare sopra.”
Le tre tracce che seguono, Cheap Day Return, Mother Goose e Wond’ring Aloud, sono di fatto un trittico acustico da ascoltare insieme. Il primo, un brano-solo per chitarra acustica, fu scritto da Anderson mentre era in stazione ad aspettare il treno che lo avrebbe portato dal padre malato; nel secondo, un collage di immagini senza apparente filo conduttore se non quello dell’io narrante, Aqualung, che ci invita ad associazioni spontanee, legate ad impressioni, brevi ricordi, volti appena suggeriti dalla memoria con la chitarra che esegue elaborate variazioni soliste. In seguito Anderson userà spesso questa tecnica nelle sue liriche. Chitarra acustica e canto anche nella terza ma con l’aggiunta del piano di Evans insieme con l’orchestra diretta da David Palmer. Una perla davvero!
Il riff iniziale di chitarra acustica di My God è immediatamente riconoscibile, mentre lo strumento in questione domina l’intera prima parte della canzone, con un ritmo lento e cadenzato che evoca un’atmosfera cupa e solo dopo 55 secondi si inizia a sentire la voce di Ian Anderson, mentre anche il pianoforte entra in scena, creando un duetto con la chitarra acustica fino a che, dopo 2 minuti e 8 secondi, fa il suo ingresso la chitarra elettrica di Martin Barre ed iniziano anche i primi accenni di flauto traverso che avrà poi un ruolo da protagonista nell’eccezionale ed elaboratissimo assolo centrale, accompagnato anche da un coro che evoca i canti gregoriani, il tutto per poco meno di 2 minuti fino alla ripresa del ritmo precedente. Durante le esibizioni dal vivo l’assolo di flauto può variare in qualche passaggio, ma Anderson riesce in ogni caso a mantenere la struttura del pezzo originale.
l testo è un’aspra critica alle religioni organizzate, in particolare si scaglia senza mezzi termini contro la Chiesa anglicana (viene infatti menzionata come “the bloody Church of England”, “la maledetta Chiesa d’Inghilterra”). In particolare Anderson critica la concezione dogmatica di Dio imposta dalla Chiesa, qualunque essa sia, che impedisce a ciascun uomo di sviluppare una propria concezione della divinità, offrendoci già in partenza una Sua immagine ben definita.
La canzone non è, quindi, nel modo più assoluto un manifesto anti-Dio o anti-religione, come molti erroneamente hanno pensato e pensano tuttora. Lo stesso Anderson ha rivelato durante un’intervista nel 1993, incisa anche come quarta traccia nella rimasterizzazione su CD dell’album Thick as a Brick, come diverse persone, durante le esibizioni del gruppo, lanciassero dischi rotti di Aqualung contro di loro, evidentemente in segno di protesta, per una mal interpretazione del testo di My God.
In un’intervista rilasciata su Disc and Music Echo il 20 marzo 1971, il giorno successivo all’uscita dell’album, Ian Anderson disse: «My God, la prima traccia, non è una canzone contro Dio o contro l’idea di Dio, bensì è contro gli Dei e l’ipocrita gerarchia ecclesiastica; è una critica contro il Dio che loro hanno scelto di adorare. Mi lascia molto a disagio il fatto che i bambini vengano educati a seguire lo stesso Dio dei loro genitori. Dio è l’idea astratta che l’Uomo sceglie di adorare; egli non ha bisogno di essere adorato. Voglio dire che Egli ha solo bisogno di essere riconosciuto. I bambini sono cresciuti come ebrei, cattolici o protestanti solo per un incidente di nascita. Credo che questa sia una cosa presuntuosa e immorale da farsi. La religione crea una linea divisoria fra gli esseri umani e questo è sbagliato. Penso che sia estremamente sbagliato che ci venga fatto il lavaggio del cervello a scuola con un mucchio di idee religiose. Dovrebbe stare a ciascuno di noi pensare e prendere le proprie decisioni.
Questo è un blues per Dio, nello stile di un lamento. Giacché molte religioni operano come fossero un servizio sociale anziché un servizio spirituale.»