EDITORIALE – Il 1972 è stato un anno strepitoso per il panorama musicale italiano. Ci sono le prime sperimentazioni di Battiato, i picchi di Mogol-Battisti, Guccini, De Gregori, Venditti, copertine incredibili e tantissimo Prog. In questa rubrica che va a chiudersi per il secondo anno consecutivo (e grazie ancora a tutti voi che la seguite), ho cercato di ripercorrere ognuno di questi dischi che in questo 2025 compiono 53 anni.
Il 24 aprile del suddetto anno usciva il capolavoro “Umanamente Uomo: Il Sogno”, un disco immortale della fase Mogol Battisti, pubblicato quando il duo viaggia a pieno regime (e vende, appunto, come nessuno, nel 1972), ma il merito è quasi tutto della grandiosità di Lucio, del suo genio in pieno fermento, del suo proverbiale coraggio “visionario”.
L’artista volteggia ad altezze siderali e carica di pathos e intensità le liriche – certo belle – ma comunque a tratti piuttosto “normali” del fido scudiero: pensare che il segreto di un disco tanto bello stia in Mogol è veramente fuorviante e riduttivo.
“E Penso A Te” è un pezzo sin troppo celebre, che meriterebbe fiumi di inchiostro: io mi limito a dire che le liriche, certo ben strutturate e interessanti, diventano un capolavoro assoluto soltanto perché le interpreta Battisti. Che pare vivere i suoi pezzi, più che limitarsi a cantarli. Lui è il protagonista, lontano dall’amata ma incapace di dimenticarla. Non fa che pensare a lei, e tutto sembra vero, autentico, un nodo nello stomaco. La voce stremata e quasi “afona” di Battisti possiede un potere magico, che risulta persino difficile descrivere. Un potere che però è tutto, perché la forza della canzone si nasconde tutta dentro le vibrazioni delle sue corde vocali (per inciso, si tratta di un brano che non esito ad inserire nella mia personale, ipotetica top ten dell’autore).
Il pezzo che dà il titolo al disco è un morbido folk strumentale impreziosito da carezze orchestrali, che non ha bisogno delle parole per inchiodarci alla sedia. “Comunque Bella”, con qualsiasi altro artista al microfono, potrebbe suonare come un pezzo degno dell’Ariston. Invece è elegante e insieme poderoso, sfibrato ma anche luminoso.
“I Giardini Di Marzo” è un altro pezzo di storia della canzone italiana, quasi il suo “David di Michelangelo”. Cupa, ripiegata dentro le paure più oscure dell’animo umano, è anche un inno alla forza dirompente dell’amore sul quale non mi dilungo, lo conosciamo tutti a memoria (e questo è quasi ingiusto: si finisce per considerare banale qualcosa che invece è divino).
Poi arriva la bellissima Innocenti evasioni. Questo brano, musicalmente allegro e spensierato, parla di un’esperienza realmente accaduta: infatti, secondo Renzo Arbore, la canzone parlerebbe di un suo rapporto extraconiugale (ai tempi del suo legame con Vanna Brosio) di cui Lucio fu a conoscenza e che diede l’ispirazione per la canzone.
“Umanamente Uomo: Il Sogno” è un lavoro importante perché segna forse la prima, vera rottura rispetto al Battisti degli esordi (fatta in parte eccezione per “Amore E Non Amore” dell’anno precedente). E non è un caso che si tratti del primo disco pubblicato per la Numero Uno, dopo gli anni con la Ricordi: Lucio vuole sentirsi libero e comincia a fare terra bruciata intorno a sé, anche se non mancheranno negli anni a venire successi da copertina (ma da questo punto di vista il meglio è già alle spalle).
“Sognando E Risognando”, in tal senso, è indiziaria: è un pezzo articolato e imprevedibile, che sprigiona idee ed energie di matrice quasi progressive (seguendo le intuizioni de “I Giardini Di Marzo”, in tal senso), pur senza dimenticare le radici pop.
Nessun dubbio, quindi: il futuro di “Questo Inferno Rosa” e de “Gli Uomini Celesti” è davvero alle porte. E del resto, il progressivo, costante inasprimento dei rapporti con i media (che si fanno burrascosi proprio nel 1972) è una nube oscura che già lascia presagire strappi violenti
Umanamente uomo: il sogno” è un album fondamentale (direi essenziale) per capire, e analizzare, il fenomeno Battisti. Che Lucio sia stato un grande autore di musiche è indubbio (qualcuno mi può smentire?) ed è anche giusto ricordare, repetita juvant, che nessuno oggi sarebbe più in grado di scrivere musiche altrettanto belle.

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