EDITORIALE – Leggi “southern rock” e pensi a qualche bifolco redneck del sud degli Stati Uniti con il pancione gonfio di birra, gli stivalacci in pelle, il barbone sporco e un’ignoranza tanto reazionaria ed esibita che Chuck Norris sembra un illuminato progressista. Sguardo truce da guerriero padano anti-moschee e cazzotto in tasca immediatamente pronto all’uso, il personaggio in questione non stimolerebbe certo amabili discussioni hegeliane o su Rosa Parks. Ma il southern rock è ben altro. Prende nobili e sane origini dalla prima british invasion, una torrida fusione imbastardita di rhythm and blues e rock’n’roll dei padri, risputati fuori da stagnose chitarre heavy e sentimentalismo malandrino. Gli Allman Brothers di Gregg e Duane (chitarrista immenso e influente, su cui torneremo) indicheranno la strada agli altri all’alba dei Settanta con fluviali digressioni live, che univano in fameliche jam jazz-rock, fusion, psichedelia, rock-blues e soul.
In un ipotetico campionato mondiale di sfiga-rock, gli eredi “borderline” Lynyrd Skynyrd avrebbero ben pochi rivali. Il 20 ottobre 1977 è una data nefasta per la banda sudista del cantante Ronnie Van Zant: a pochi giorni dall’uscita di “Street Survivors” il volo charter che partiva da Baton Rouge (Louisiana) si schiantò in una palude di Gillsburg, Mississippi, e fu la tragica fine del periodo più glorioso degli Skynyrd. Van Zant e l’equipaggio di bordo, compreso manager e corista, morirono sul colpo, i chitarristi Greg Rossington, Allen Collins e gli altri ne uscirono miracolati e malconci. La storia di Ronnie & co. ebbe inizio nel 1964 a Jacksonville, in Florida, quando sull’onda del beat inglese si facevano chiamare ”The Noble Five” e Leonard Skinner era l’ottuso, e un po’ stronzo, insegnante di educazione fisica alla Robert E.Lee High School, famoso per le sue crociate scolastiche contro i “capelloni”…Facile intuire da chi la band riprese e storpiò sarcasticamente il nome.
“Pronounced Leh-‘nérd Skin-‘nérd” , pubblicato il 13 agosto 1973, è l’ultimo, ironico tributo all’american graffiti della propria goliardica gioventù, l’esordio lungamente atteso dopo anni di faticosa gavetta e cambi di formazione. Registrato sotto l’attenta egida di Al Kooper allo Studio One di Doraville (Georgia) lungo il marzo e maggio ’73, il disco fu l’espressione più genuina e ruspante dell’umido sound dei sette scapestrati “uomini semplici” (bissato l’anno seguente dall’altrettanto notevole “Second Helping”, quello per intenderci della celebre “Sweet Home Alabama” in disputa polemica con Neil Young). Lo straordinario feeling e coesione esecutiva fra le chitarre fumiganti di Rossington, Collins e Ed King, la batteria secca e precisa di Bob Burns, il bassista Leon Wilkeson, Billy Powell alle tastiere e la voce calda dell’emozionante Van Zant erano un grandioso fuoco d’artificio hard-bluessoul da irsuti Stones campagnoli. Il calcio negli stinchi di “Ain’t The One” e gli sfrenati boogie-rock’n’roll “Gimme Three Steps” e “Poison Whiskey”, con le elettriche incrociate di Rossington e Collins, forgiano a temperature bollenti lo stampino per coloro che verranno (gli imperdibili Black Crowes in testa).
“Tuesday’s Gone” è una bellissima e appassionata ballad-rock, Ronnie Van Zant con il cuore in mano durante sette minuti di note dolcemente agresti (la “Wild Horses” dei Lynyrd Skynyrd).
Ed ecco che si arriva al capolavoro. Il memorabile dialogo madre-figlio dell’epica “Simple Man”. Parole di una semplicità pura e disarmante, ma dal formidabile trasporto emozionale, mentre il potente muro di chitarre aggredisce e un incontrastato assolo hard prende la scena.
“Mama told me when i was young: Come sit beside me, my only son…And listen closely to what i say. And if you do this it will help you some sunny day. Take your time…And be a simple kind of man…Be something you love and understand. Be a simple kind of man…”
Gli Skynyrd si riservano anche divertenti filastrocche stomp (“Things Goin’ On”) e il country-folk di “Mississippi Kid”, con Steve Katz all’armonica, prima di concludere “Pronounced Leh-‘nérd Skin-‘nérd” con la lunga cavalcata hard-blues (nove minuti) di “Free Bird”. Omaggiando il talento e il dolore per la perdita dell’idolo Duane Allman, l’uccello libero del testo, i Lynyrd Skynyrd realizzano il brano simbolo su cui ruoterà l’intera loro carriera, uno dei grandi capolavori del southern. L’impeto devastante e selvatico della chitarra solista di Greg Rossington e l’afflato del compianto Ronnie volano ancora altissimi nei cieli rock, dove “…devo mettermi in viaggio adesso, perché ci sono troppi posti che devo vedere. Ma se rimanessi qui con te, ragazza, non potrebbe più essere la stessa cosa…Perché ora sono libero come un uccello, e questo uccello non lo puoi cambiare…Dio sa che non posso cambiare…”