EDITORIALE – Ebbene si, è esistito un Iggy Pop prima di The Passenger e, credetemi, era molto più incavolato ed eclettico che mai, e cantava in una band.
Dopo l’incredibile accoppiata The Stooges–Fun House il gruppo, nel 1970, si scioglie. Passa qualche anno, il tempo di esagerare con droghe e alcool vari e di accumulare voglia di violenza musicale quando David Bowie in versione “padrino benevolo” convince Iggy a rimettere in sesto la band, cosa che avviene puntualmente all’alba del 1973 ma con qualche fondamentale differenza: Steve MacKay non rinnova la presenza dopo i luccichii di Fun House e anche Dave Alexander non ha intenzione di tornare. Al suo posto fa l’ingresso nel gruppo il chitarrista James Williamson con Ron Asheton che passa al basso. Sacrilegio, verrebbe da pensare! Uno dei migliori chitarristi al mondo riciclato al basso. Roba da non credere.
In realtà Williamson dimostrerà di sapersela cavare più che egregiamente, prendendo parte così a quel piccolo capolavoro che è ancora oggi, a cinquantuno anni dalla sua uscita, Raw Power.
E lo si capisce già dal primo pezzo quale sarà il “motivetto” dell’album: Search and Destroy è di una violenza musicale inaudita, la stessa che aveva caratterizzato soprattutto l’esordio The Stooges e pezzi come I wanna be your dog e No fun. Distorsioni e assoli allucinanti formano un muro sonoro in cui sembra ci siano tre-quattro chitarre sporche, ma di uno sporco così lurido che raramente si è sentito. Ormai il confine tra garage-rock e punk è ormai abbondantemente superato. Non si deve avere pudore ad affermare che questo inno supersonico è puro e grezzissimo punk, come sarà nella più marcia tradizione di Sex Pistols e compagni.
“And I’m the world’s forgotten boy The one who’s searchin’, searchin’ to destroy”
Iggy è tornato e lamenta la sua desolazione fisica e psichica. Tre anni di droghe non sono passati indenni. Il peggio dovrà ancora venire ma per adesso rimane la sensazione che il mondo lo abbia abbandonato. Sono finite le speranze, sono cadute le illusioni. Di fronte a questo ambiente di inquietudine interiore Iggy non si rassegna, non si dispera, anzi reagisce come ha sempre fatto, sputando sangue, strepitando, combattendo, oltraggiando, inneggiando alla violenza (sonora e non).
Gimme danger è una ballata che smorza un po’ i toni: ma attenti, quando si accosta il termine ballata accanto a quello degli Stooges bisogna stare attenti a non equivocare: l’inizio è sì morbido ma, progressivamente, il pezzo prosegue viscido, inafferrabile, rozzo, a tratti un pugno nello stomaco, in un clima sonoro che mischia psichedelica e sofferenza, low-fi e perversione, malattia e atmosfera “noir”. Williamson accompagna ottimamente Iggy che con la sua voce suadente e maestosa sospira il pericolo (“gimme danger”) e stuzzica con le solite invocazioni sessuali (“feel my hand”) in un calderone in cui l’amore non è mai visto come dolce o romantico ma può essere solo rabbioso e insidioso.
Your pretty face is going to hell in questo senso raggiunge gli apici di volgarità sessuale gratuita in un clima sonoro che torna a essere di punk ante-litteram: distorsioni e assoli-riff superveloci fanno da contorno a una delle voci più roche e marce mai uscite dalla bocca di Iggy.
Penetration è strutturata su un unico riff su cui si staglia il tono lugubre e torbido di Iggy. Il nome del pezzo è tutto un programma…si, insomma, siamo sicuri che non si parli di prati verdi e arcobaleni. Ci si domanda quanto possa avere influito l’ondata glam (e quindi anche Bowie) del periodo nell’elaborazione di testi così provocatori e sessualmente espliciti, elemento non certo nuovo ma sicuramente più attenuato nei due precedenti dischi.
Ad ogni modo arriviamo a Raw Power, altro pezzo che entrerà nella leggenda ( e verrà coverizzato vent’anni dopo dai Guns’n’Roses). Provate a farci caso: a un attento ascolto noterete come il pezzo si apra con un rutto. Tutto il resto è superfluo. Anche se l’ennesimo devastante miscuglio di distorsioni, riff e assoli acidissimi e velenosi non riesce a non lasciare il segno.
I need somebody riporta alla mente il blues estremizzato presente in Fun House. Qui però Iggy canta come una prostituta vogliosa e emerge la sensazione di stupore per la continua voglia di scandalizzare i benpensanti.
Shake appeal è un rock’n’roll sfrenato e estremizzato, quasi trash nel suo incedere lineare e martellante.
Death trip è una degna chiusura del terzo e ultimo capolavoro del gruppo: una mazzata, un ritratto scarno e veemente della depravazione sonora che sono stati gli Stooges.
Nel complesso l’album segna un saliscendi emotivo e ritmico che alterna pezzi veloci e ultraveloci. Il risultato è ancora una volta per Iggy e compagni un capolavoro del rock, anche se a parere di chi scrive leggermente inferiore rispetto ai primi due album. Rimane il fatto che nella storia non si ricorda una simile percentuale qualitativa: tre album-tre capolavori, poi stop, cala il sipario. Iggy Pop comunque si metterà in proprio intraprendendo una carriera solista piena di soddisfazioni. Ma questo è un altro discorso. Ora come ora rimane in testa solo la potenza devastante di Search and destroy (e di ciò che segue).