EDITORIALE – Si stenta a credere che, con questa pubblicazione storica avvenuta il 10 ottobre del 1969, la prima “incarnazione” dei King Crimson fosse in circolazione solo da una decina di mesi. Fondati dal chitarrista Robert Fripp con Greg Lake al basso, il batterista Mike Giles e l’accoppiata che sarà subito imitatissima tra le tastiere e il flauto di Ian McDonald, la band viene presentata al concerto di Hyde Park organizzato dai Rolling Stones in memoria di Brian Jones. Chissà le facce dei presenti, che sono solito a immaginare tra il perplesso e l’incuriosito al cospetto di uno “stil novo” musicale, teso al superamento formale e strutturale del rock come lo si era concepito e ascoltato fino a quel momento.

Insomma, quella sera del 5 luglio 1969 si ebbe la conferma che già al tramonto degli anni ’60 c’era già chi ipotizzava il “post” del rock. Visione che si concretizza solo cinque mesi dopo, con l’album che stravolge e cambia tutte le regole del panorama musicale, portando il genere rock alla sua trasformazione più eclettica e creativa.
Per questo il 10 ottobre di 55 anni fa, si può azzardare a dire che il muro delle sonorità viene rotto e ricostruito in modo totalmente nuovo e sbalorditivo, perché con “In the Court of the Crimson King”, non solo il rock, ma tutta la musica, cambiano pelle. A conferma di ciò, basti pensare dietro cosa nasce questo album: le registrazioni avvennero tra luglio e agosto del ’69, proprio mentre i Beatles incidevano Abbey Road, consegnando al passato la loro gloriosa storia.
Un lasso di tempo denso come poche altre di proiezione verso il futuro: l’incisione iniziò il giorno dopo il primo sbarco sulla luna, per dire. Barry Godber, l’autore dell’allucinante e celeberrima copertina, una sorta di Urlo di Munch in chiave psichedelica, era ufficialmente un programmatore di computer, un mestiere allora ben oltre la fantascienza. Anche da questi fattori si intuisce il perché i King Crimson ancora oggi sono considerati i pionieri del Prog Rock, in fautori dell’inizio di una storia che alla fine si rivelerà più grande di loro, grazie all’innovazione, geniale a quei tempi, di costruire un ponte tra generi diversi, che porta dai confini del rock al genere classico e jazz. Nel suo libro Rocking the Classic, il critico Edward Macan afferma che l’album «potrebbe essere l’album di rock progressivo più influente mai pubblicato», mentre Pete Townshend, il leader degli Who, lo definì «un capolavoro sbalorditivo».

I brani si muovono e suonano fuori dai tradizionali schemi degli anni 60, infatti In the Court of the Crimson King (sottotitolato An Observation by King Crimson), è un insieme di parole e musica che segnano l’irrequietezza sociale e allo stesso tempo triste e innovativa di quegli anni, che varia dalla guerra in Vietnam fino al primo uomo sulla luna, passando all’alba di Woodstock. Nessuno dei brani ha una durata equivalente o comparabile con quelli pop tipici degli anni sessanta: tutti e cinque superano infatti i sei minuti. Tuttavia lo stile musicale non è del tutto estraneo al gusto dell’epoca, ad eccezione di 21st Century Schizoid Man, che si muove chiaramente fuori dagli schemi musicali abituali. La voce distorta di Greg Lake, futuro leader degli Emerson, Lake & Palmer, apre il primo atto della rappresentazione, che é appunto “21th Century Schizoid Man”. Un inizio a dir poco spiazzante, composizione frenetica, rumorista, ma allo stesso tempo melodica.
“È un crudo resoconto delle paure e delle angosce dell’uomo del ventunesimo secolo che rifugge solitudine e alienazione (I Talk to the Wind) rifugiandosi nella corte del Re Cremisi: una dimensione maestosa e lisergica fatta di sogni e illusioni, delicate armonie di tempi lontani (Moonchild) e mondi antichi, personaggi fantasy, pupazzi che danzano, buffoni di corte, illusionisti”, ha dichiarato il critico musicale Cesare Rizzi.
Il flauto di Ian McDonald si unisce alla lucida tranquillità della voce di Lake, in una quiete irreale, che fa presagire la tristezza contenuta della traccia successiva, la dolente “Epitaph“. Il mellotron fa sentire la sua voce, il mostro urla di dolore: è un epitaffio (“Confusion will be my epitaph”) che riguarda l’intera umanità; “But I fear tomorrow I’ll be crying” profetizza Lake alla fine del pezzo.nella sua fusione voce/flauto , propedeutica alla malinconia depressivo/indolente di Epitaph. Si tratta di un epitaffio per una intera società, per un intero modello di vita espresso in poco meno di nove minuti, anche se pochi erano in grado di comprenderlo appieno all’epoca.
I due dipinti, che quindi rimangono le uniche opere di Godber, sono conservati attualmente da Robert Fripp. Il dipinto utilizzato per l’esterno della copertina rappresenta il volto di un uomo spaventato, con gli occhi spalancati, mentre urla; l’uomo, con il volto sfigurato e l’orecchio sproporzionato, rappresenta l’uomo schizoide del ventunesimo secolo di cui parla il primo brano. All’interno, invece, è presente un volto apparentemente calmo e sorridente, che mostra anche le mani, in posa ieratica: rappresenta il Re Cremisi, eponimo sia dell’album che del gruppo; in entrambi i dipinti il colore predominante è il rosso cremisi, accompagnato dal blu. A causa della sua originalità, della mostruosità del volto,] e dell’assenza di informazioni sia sul davanti che sul retro, questa illustrazione è stata considerata da alcuni una delle più significative della storia del rock, insieme al prisma di The Dark Side of the Moon o alla copertina bianca di The Beatles.

Cinquantacinque anni dalla nascita del progressive rock, delle sue atmosfere e dalle sue originali sperimentazioni, per un album che ancora oggi rappresenta un’icona della storia musicale moderna. L’impatto è un volto spaventato e dagli occhioni spalancati, dietro al quale ci sono sonorità destinate ad essere immortali nel tempo.