#TellMeRock | I miei Rolling Stones, San Siro e la lunga vita del rock n’roll

EDITORIALE – Out Of Time è un brano dei Rolling Stones datato 1966 e inserito nel capolavoro AfterMath. E’ stata anche la sesta canzone in scaletta nel concerto di ieri sera a San Siro e, se vogliamo, ha dentro di sé qualcosa di mistico e profetico. Si, perché questo brano, oltre ad essere una pietra miliare nella discografia degli Stones, ha anche un titolo che ben descrive l’essenza della band: fuori dal tempo.

Sessant’anni di carriera, 231 anni in tre, se calcoliamo solo la vecchia guardia composta da Mick Jagger, Keith Richards e Ronnie Wood e una esuberanza e voglia di fare rock che li rende leggendari. E pensare che una settimana fa Jagger si era preso pure il covid, ma evidentemente e fortunatamente il virus gli fa un baffo e manco i sintomi del post.

Quello che resta nel riordinare le mie emozioni e sensazioni è certamente la varietà del pubblico, dagli over 70 ai giovanissimi, passando per adolescenti (fortunati e meritevoli), fino ai “mezzani” come me. Poi il palco si illumina, l’urlo della folla, un rullante continuo e ben riconoscibile e le immagini del compianto Charlie Watts che dominano San Siro. Impossibile che Charlie non venisse ricordato in questa occasione. E infatti il tributo al batterista non tarda ad arrivare: mentre sul maxischermo scorrono le immagini della loro decennale carriera insieme, un commosso Mick Jagger dice rivolgendosi al pubblico: Questo è il nostro primo tour senza Charlie, e ci manca tantissimo“.

Poi l’inconfondibile voce a introdurli, Ladies and Gentleman, The Rolling Stones, e si parte subito con Street Fighting Man, riff inconfondibile di Richards e Jagger che già comincia a saltellare e cantare, rendendo chiaro sin da subito cosa accadrà poi per le restanti due ore sotto la sagoma della linguaccia che disegna la scenografia.

Bastano un ventina di pezzi, ne restano fuori altrettanti, ed è una lezione alle scalette gonfie di tante popstar italiane che riempiono ma non soddisfano. Mick apre subito l’enciclopedia del rock alla pagina «presenza sul palco». «Che bello tornare qui». Italiano fluente che userà spesso nella serata. La chitarra di Keith è come un fumetto, fa «sbrang». Ronnie Wood è nato con l’elettricità nelle mani. Il suono arriva potente e pulito, si distinguono tutti gli strumenti. E qui arriva la seconda lezione alle nostre produzioni. Tumbling Dice è un viaggio, Wild Horses è una culla, You Can’t Always Get What You Want ha qualcosa di liturgico e non sono soltanto i cori dei 57 mila e l’atmosfera gospel. Qui Mick arringa il pubblico a seguirlo nel ritornello: “Milano, siete famosi per il canto, adesso tocca a voi”. Anche Keith Richards si cimenta in italiano, un po’ più stentato ma comunque apprezzabile, con un esilarante e scaramantico: “Alla faccia di chi ci vuole male”.

L‘apocalittica di Ghost Town è la loro visione della pandemia, unica concessione post anni Novanta nella scaletta. Honky Tonk Women trascina al momento con Keith alla voce e Mick dietro le quinte. Saltare la citazione anche di un solo titolo della seconda parte del concerto sarebbe un torto a una hit colossale o alle emozioni di qualcuno.

Ma su Gimme Shelter, lo ammetto, mi è scappata la lacrima. Il pezzo estratto dal capolavoro Let It Bleed, che criticava la guerra in Vietnam, ora incontra il popolo ucraino, con i maxischermi su cui appaiono la bandiera dell’Ucraina e le immagini di distruzione della guerra. Jagger è pulito nel canto, la corista mette la pelle d’oca e Richards, con la sua proverbiale strafottenza, rende gli arpeggi pura emozione.

La sottolineatura sulla forma fisica di Jagger, soprattutto dopo il covid, è scontata. Ma inevitabile quando lo si vede ballare lungo la passerella guidato dal groove di Miss You. Come lo è quella sulla potenza dei riff: ma quando vedi in primo piano le dita deformate su Start Me Up o sulla finale Can’t Get No Satisfaction si accende qualcosa. Quei due la storia l’hanno fatta così. Senza togliere nulla a chi non c’è più o a Ronnie Wood.

I Rolling Stones sono stati il punto di partenza della rivoluzione rock, carismatici, senza regole, impassibili alle pressioni e secchi nelle loro dichiarazioni o testi. Hanno cavalcato tutte le epoche rock e, anche quando il genere non era proprio quello principale in alcuni decenni (vedi la seconda metà degli anni ’70 e i primo ’80 alle prese con punk e disco music), loro hanno sempre cercato di salvare il salvabile, riuscendoci, restando uniti e, soprattutto, senza mai adeguarsi. Sono stati soprattutto la scintilla che ha acceso la triade maledetta sesso, droga e rock and roll. E a quella sono sopravvissuti nonostante i ripetuti inciampi. Quello che non tramonta è il segno. Loro lo hanno lasciato. La risata diabolica di Keith al termine della presentazione della band la dice lunga, sempre “alla faccia di chi ci vuole male”.

Milano ha riscritto la storia sedici anni dopo il loro ultimo concerto, lo testimoniano i volti sorridenti, commossi ed emozionati che escono da San Siro. Tra quei volti c’è anche il mio, con il cuore a mille e le note ancora nei timpani e nella voce.

Ladies and Gentleman… The Rolling Stones…