#TellMeRock, i primi quarant’anni di The Works e la nostalgia anni 80 dei Queen

EDITORIALE – Chi di noi, prendendo un aspirapolvere in mano, non ha mai cercato di mimare le movenze di I Want To Break Free, pietra miliare della vena compositiva dei Queen?

Eppure questo brano, entrato nell’album The Works, undicesimo prodotto discografico in studio della band britannica pubblicato il 27 febbraio 1984, è stato contemporaneamente croce e delizia per Freddie Mercury e soci.

La storia del brano è infatti caratterizzata di apici e censure, di promesse e di polemiche. Il testo, scritto dal bassista John Deacon, parla della liberazione di un amore negativo. La traduzione letterale in italiano del termine altro non è che “Voglio liberarmi” ed è, in effetti, il messaggio che vuole essere comunicato all’interno del brano. Grande merito della celebrità di I Want to Break Free è rappresentato sicuramente dal videoclip ufficiale della canzone, un’idea dell’allora fidanzata di Roger Taylor.

La donna consigliò ai membri della band di fare una parodia della soap opera Coronation Street, molto in voga in Gran Bretagna negli anni Ottanta. Ne scaturì così il mitico video in cui i Queen indossano abiti femminili, scatenando non poche polemiche, soprattutto negli Stati Uniti, là dove i Queen furono addirittura censurati. MTV non permise la trasmissione del videoclip per ben sette anni, provocando così la reazione di Freddie Mercury il quale decise che la band britannica non si sarebbe più esibita nel panorama statunitense.

Paradossalmente, nonostante nel mercato statunitense I Want To Break Free non abbia avuto seguito a causa della censura di cui abbiamo parlato, la canzone stessa non ebbe bisogno del seguito statunitense per certificare il ritorno dei Queen ad alti livelli. Il brano in realtà, nel corso degli anni, ha assunto molteplici significati ed è diventato un vero e proprio inno di libertà in tutte le sue forme. Dalla libertà individuale a quella sentimentale, fino a quella sessuale. Ancora di più dopo la morte di Freddie Mercury, la canzone venne identificata dalla cultura gay come il brano di rilancio e “outing” del frontman dei Queen. Una esortazione a prendere quasi il toro per le corna e dimostrare che il travestimento (seppur per gioco) e soprattutto l’omosessualità non erano dei tabù insormontabili. Sfida vinta in Europa e nel resto del mondo ma, come su scritto, non negli States.

Se è vero che The Works fu un album che, relativamente a vendite e critica, possiamo considerare ben riuscito e fortunatissimo, il merito è anche di I Want to Break Free che, insieme a Radio Ga Ga e Hammer To Fall ha letteralmente trainato al successo l’undicesimo album in studio dei Queen.

The Works è un album che dimostra lo sforzo dei quattro musicisti di riprendere contatto con la loro dimensione ideale, quella più rocciosa per capirci, ma senza rinnegare gli ultimi studi formali che, per quanto contestabili, hanno costituito un tassello tanto importante quanto remunerativo nella loro carriera. Infatti, se Hot Space terminava con la commercialissima Under PressureThe Works inizia con un pezzo se possibile ancora più “popular-oriented”, vale a dire Radio Ga Ga: inutile ricordare il successo planetario che questo brano ha avuto e continua ad avere ancora oggi.

Scritta da Roger Taylor ed ispirata ad alcune parole pronunciate dal figlio dell’autore, è una canzone sul periodo d’oro della radio e sulla nostalgia per tale mezzo di comunicazione, che un tempo veniva considerato un componente della famiglia a tutti gli effetti ed era l’unico modo per venire a sapere ciò che accadeva. Il testo fa riferimento anche al potere mediatico esercitato dal canale di video musicali MTV, il cui avvento ha tolto alla radio il ruolo di metodo principale per promuovere nuova musica. Per ironia della sorte, gli stessi Queen hanno pesantemente contribuito a ridefinire il concetto di videoclip con i loro brani, a partire da Bohemian Rhapsody nel 1975. Il video stesso di Radio Ga Ga verrà candidato per la miglior direzione artistica durante la prima edizione degli MTV Video Music Awards. La canzone, della durata di quasi 6 minuti, raggiunse la posizione numero due nella hit-parade inglese. I Queen eseguirono Radio Ga Ga al Festival di Sanremo 1984

Nei concerti, Radio Ga Ga diventò uno dei pezzi preferiti dal pubblico, che in genere partecipava attivamente all’esecuzione battendo le mani secondo la sequenza di applausi suggerita dal ritmo del ritornello.

Con Tear It Up ritroviamo i cari Queen dei tempi andati, purtroppo ormai privati della vena progressive degli esordi ma comunque ancora decisi a digrignare i denti con dignità.

A seguire un’altra hit estremamente famosa e riuscita-, ovvero It’s A Hard Life. La lirica di apertura della canzone si basa sulla linea “Ridi, Pagliaccio, sul tuo amore infranto” tratto da Vesti La Giubba, un’aria dell’opera Pagliacci di Ruggero Leoncavallo. Musicalmente, la canzone ricrea l’atmosfera di Play the Game, utilizzando il pianoforte di Mercury e la tecnica caratteristica della band basata su armonie stratificate. Venne registrata seguendo le caratteristiche degli album degli anni settanta, essendo assente ogni tipo di sintetizzatore, e l’assolo di chitarra è stato definito da Brian May “molto Bo-Rhap“. La band stava usando i sintetizzatori dal 1980 con The Game, e il gesto di tornare al tradizionale suono dei Queen fu inaspettato. “Freddie Mercury era molto affezionato a questo brano” , come raccontato dallo stesso May.

Ma è sulle due canzoni seguenti che si testimonia il grande conflitto interiore da cui è mossa la band in quegli anni: Man On The Prowl è un classicissimo brano rock ‘n roll, talmente classico da non sembrare nemmeno uscito dalle quattro teste britanniche; Machines, per contro, è il pezzo più sintetico del lotto, ed è significativa una frase del testo la quale, se decontestualizzata, suona più o meno così:

It’s a machine’s world
Don’t tell me I ain’t got no soul
[…]
They tell me I don’t care
But deep inside I’m just a man
[…]
Back to humans.

Il messaggio è chiaro: c’è un tempo per il cuore ed un altro per il cervello, e se da una parte il cuore vorrebbe continuare sempre a guardare malinconicamente al passato -così puro e spontaneo- il cervello impone anche di adattarsi al suono della modernità, alle macchine ed alla tecnologia.

 

Hammer To Fall è un brano scritto da Brian May che ha come tematica la presa di coscienza dell’esistenza della morte e della caducità della vita. La versione 12″ del singolo contiene una versione estesa del brano denominata The Headbangers Mix; ciò che la caratterizza e la differenzia dalla versione album è la sua introduzione, molto più lunga ed alternativa, e un assolo di chitarra di May aggiunto poco dopo l’ultimo ritornello. Questa canzone è l’unica dell’album a fare parte della colonna sonora del film Highlander – L’ultimo immortale.


Si chiude poi con l’acustica Is This The World We Created…?, un brano quanto mai attuale per i giorni che stiamo vivendo. A quest’ultimo interrogativo, vale a dire se “È Questo Il Mondo Che Abbiamo Creato?” non so rispondere. Quello che so è che in seno alla band è maturata una grande confusione che non ha ancora trovato soluzione, tutt’al più un compromesso. Non è un caso infatti che i quattro singoli estratti portino ognuno una firma diversa: evidentemente è stato il modo per i Queen di risolvere le beghe interne, sicuramente mosse dalle solite manie di protagonismo delle star.

The Works, pur non essendo un disco straordinario o paragonabile a A Night At The Opera, resta a distanza di quarant’anni ancora molto interessante perché, come abbiamo visto, si presta a molte letture interpretative. Per i grandi fan della band sicuramente dev’essere stato una boccata d’aria fresca, ma ci vorrà ancora un po’ di tempo perché il gruppo riesca a dare il massimo. Un passaggio obbligato nella carriera dei Queen, forse un po’ doloroso ma comunque superato con discreto successo.

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