EDITORIALE – L’edizione in cd in commercio di Uprising, pubblicato il 10 giugno del 1980, aggiunge a fondo corsa un versione allungata registrata da Bob Marley & The Wailers e ben diversa da quella universalmente nota di Redemption Song e una allungata di Could You Be Loved.
Sono belle curiosità che il fan di sicuro gradisce, eppure la loro inclusione in scaletta pare inopportuna per come sciupa il pathos che dava alla versione originale.
Uprising segna di fatto il testamento del Pioniere del Raggae, ma non è un album di tristezza, bensì tutt’altro. Già la copertina mostra una sorta di risveglio del cantante giamaicano. Sotto il nome della band vediamo il sole sorgere da dietro delle verdi colline. Potrebbe essere un tramonto, ma non lo è. Lo si capisce dal protagonista, lo stesso Bob Marley, raffigurato al momento del risveglio mentre si stiracchia. Il cantante sembra quasi fare il segno della vittoria, citando, forse involontariamente, un detto dell’Africa Occidentale: “Oggi sorrido perché sono vivo”.
Il sole sorge e Bob è ancora tra noi, pronto a cantare la sua visione del mondo. Cosa ci propone? Una rivolta. La parola “uprising” difatti appare rossa sotto il suo torso, formata dai suoi lunghi dreadlocks neri. La capigliatura che rimanda alla tradizione rastafariana, grazie principalmente a Bob Marley, sarà destinata a diventare dagli anni ottanta in poi una moda del ribellismo giovanile e non uno stile di vita religioso. I dread saranno giusto un modo di portare i capelli, come può esserlo una cresta per i punk o i piercing e i tatuaggi per altri.
Uprising è soprattutto il disco di Could You Be Loved e Redemption Song. La prima fu scritta da Bob Marley nel 1979, mentre si trovava in aereo insieme ai The Wailers con cui decise di scrivere e strumentare il pezzo. Lo spartito verrà anche stampato sui francobolli giamaicani del 1981. Rispettivamente la canzone arrivò al quinto posto nella classifica UK Singles Chart e al sesto posto della Hot Dance Club Play. Verso il centro della canzone i background vocals pronunciano alcune frasi del primo singolo di Bob Judge Not, le parole dicono: “The road of life is rocky And you may stumble too. So while you point a finger, someone else is judging you.” (trad: La strada della vita è difficoltosa e puoi anche inciampare. Quindi mentre punti il dito, qualcun altro sta giudicando te)
Si arriva poi alla canzone per me più bella di Bob Marley, perché possiede quella commozione profonda, quel velo insopprimibile di malinconia di chi sa di avere il destino segnato. Bob Marley scrisse Redemption Song nel 1979, quando sapeva di dover morire, di non avere più tempo. La versione più struggente e indimenticabile è quella nuda e straziante presente sul cofanetto Songs Of Freedom, relativa all’ultimo concerto di Marley a Pittsburgh il 23 settembre 1980. Ma memorabile non fu tanto ciò che si è potuto sentire, quanto quello che si è potuto vedere.
Marley chiese silenzio dopo essere tornato sul palco, aveva concluso lo show con un trittico incendiario, lo stesso dei concerti di Milano e Torino di 40 anni esatti fa: No Woman No Cry, Exodus, Jamming. Lasciò sfogare la folla entusiasta, poi prese la chitarra acustica, e restò solo senza i suoi Wailers. Attaccò la prima strofa, poi la seconda
Emancipatevi dalla schiavitù mentale
Solo noi stessi possiamo liberare la nostra mente
Non aver paura dell’energia atomica
Perchè nessuno di loro può fermare il tempo
Per quanto ancora dovranno uccidere i nostri profeti,
Mentre stiamo da parte e guardiamo? Ooh!
Alcuni dicono che è solo una parte di questo:
Dobbiamo adempiere al libro.
Poi fu la volta del ritornello
Non mi aiuterai a cantare
Questi canti di libertà?
Perchè tutto quel che ho sempre avuto
Sono i canti di redenzione,
canti di redenzione
canti di redenzione
Marley si voltò verso la sua band che intanto era tornata sul palco e vide che piangevano tutti. Piangevano i roadies, i manager, gli amici ai bordi del palco. Era il testamento del Re. Redemption Song è l’ultima canzone del suo ultimo album Uprising, ed è anche l’ultima canzone che ha cantato dal vivo.
Un suggello di brano che emozionava ed emoziona ancora oggi in maniera indiscutibile, dall’uscita dell’album e fino a quel maledetto 11 maggio 1981, quando un tumore al cervello si portava via il profeta del Raggae. Ci si rese subito conto che quello struggente spiritual era stato il suo congedo dalla vita.
Anche senza Redemption Song, Uprising sarebbe stato un congedo degnissimo. C’è l’amore per la vita e per la sua Jamaica, l’indole fanciullesca a vivere a pieno i propri sogni e una ritmica trascinante sulla quale è impossibile stare fermi.
L’eredità che lascia questo disco è pazzesca. Non solo in termini simbolici, visto purtroppo il tragico epilogo della icona giamaicana, ma anche e soprattutto per le sonorità a venire che influenzarono non poco il rock degli anni 80. Due nomi su tutti, Clash e Police. I primi, che presero le influenze raggae per il loro ultimo disco Combat Rock, che ha compiuto quarantuno anni proprio lo scorso 14 maggio, mettono arrangiamenti raggae nella celebre Rock The Casbah, brano popolare e molto conosciuto della band inglese. Non parliamo poi dei Police, che già dalla fine degli anni ’70 presero le influenze raggae per i loro Outlando’s D’Amour e Reggatta De Blanc.
E’ il disco di saluto di un’icona immortale, per missioni, messaggi, carisma e coraggio. Il viaggio di Bob Marley a disposizione del mondo e dei suoi aneddoti di pace, fratellanza e cultura di attenzione verso il prossimo. Una serie di messaggi che, come ho già scritto, lasciano una serie di influenze ancora attuali e che, già in quel 1980, si fecero sentire anche in Italia.
Infatti il live di Uprising fu portato in Italia nel 1980, con la tappa del 27 giugno a Milano e quella del giorno successivo al Comunale di Torino, ma questa è un’altra storia che vi racconterò.