EDITORIALE – Dopo The Wall, il già travagliato animo di Roger Waters non era dei migliori. Quel muro che stava cambiando il corso del rock sia in termini ideologici che musicali, avava scavato fin troppo dentro di sè, portandolo a fare i conti col suo passato e soprattutto con il presente che stava vivendo.
La perdita del padre in guerra nel corso dello sbarco di Anzio, una società che non lo rappresenta e un governo inglese contro cui izzare i suoi accordi, ( missione partita già da Animals), lo portano a fare i conti non solo con sè stesso, ma anche con gli altri membri dei Pink Floyd.
Già da Animals i rapporti tra Waters e Gilmour erano abbastanza tesi. Ma da quei litigi, raccontò in un’intervista il batterista Nick Mason, “nacquero le migliori opere Floydiane”.
Però, nel 1981, quei litigi diventarono problemi insormontabili, che andranno purtroppo a influenzare in modo deciso il destino dei Pink Floyd.
Waters era deciso ad avere il totale controllo del progetto, mentre Gilmour era volenteroso di dimostrare il suo valore come musicista e autore di testi senza dover essere secondo a nessuno.

Il batterista Nick Mason si dimostrò un componente piuttosto estraneo a questi dissidi, cercando di mantenere calmi gli animi almeno fino alla fine delle registrazioni.
Fu invece il tastierista Richard Wright il primo a rimetterci in seguito ai suoi scontri con Waters: durante il tour di The Wall, il ruolo di Wright fu ridimensionato a quello di semplice turnista e poco prima che la band si cimentasse nella realizzazione del nuovo album, Waters decise di cacciarlo via dai Pink Floyd.
Varie versioni raccontano di un Roger Waters furibondo con Wright per il suo poco impegno e il suo prolungato soggiorno in Grecia con la nuova moglie mentre altre versioni raccontano che il bassista avesse scoperto la dipendenza da cocaina di Wright e che volle allontanarlo perchè divenuto ormai superfluo alla causa dei Floyd (quest’ultima versione è stata però smentita da Nick Mason nel suo libro biografico sulla band “Inside Out”).
In questo clima di tensioni e rancori, i Pink Floyd trovarono comunque l’ispirazione e l’unione appena necessaria (e sufficiente) per la realizzazione dell’album The Final Cut, pubblicato il 21 marzo del 1983.
Per molti è l’album testamento dei Pink Floyd, anche se in realtà il vero addio si manifesta già in The Wall, poichè The Final Cut è un disco interamente scritto e composto da Roger Waters, come sarà poi confermato sul retro dell’Lp, dove compare la scritta, abbastanza iconica e diretta che recita “by Roger Waters, performed by Pink Floyd” (“di Roger Waters, eseguito dai Pink Floyd”).
Il disco nasce dall’esigenza di Roger Waters in primis di volersi esprimere in modo critico e perentorio riguardo la vicenda della Guerra delle Isole Falkland tra Argentina e Regno Unito.
Nel 1982 infatti, l’Argentina occupò il piccolo arcipelago agli ordini del presidente generale Leopoldo Fortunato Galtieri Castelli, rivendicando quei territori come argentini e non britannici. Dura fu la reazione della Gran Bretagna, in particolare del suo primo ministro inglese Margaret Thatcher, all’epoca in caduta libera nei sondaggi, che volle scatenare una guerra di riconquista delle Falkland tra l’aprile e il giugno del 1982.
Il Regno Unito vinse la guerra dando una spallata alla dittatura militare Argentina e riabilitando la figura della Thatcher e il patriottismo inglese pur pagando più di duecentocinquanta morti per i britannici e circa seicento per gli argentini.

Moltissimi personaggi degli ambienti artistici e progressisti si schierarono contro la guerra delle Falkland, considerata un’inutile dispendio di soldi e di vite umane per una causa finalizzata solo a meschini interessi politici.
In tutto questo, Roger Waters decise di scrivere di suo pugno una dozzina di testi che legavano vicende personali vicine soprattuto all’episodio di suo padre morto durante la seconda guerra mondiale ad Anzio in Italia, luogo scoperto ben 70 anni dopo il decesso in cui Roger Waters fu invitato a celebrare la morte del padre mai conosciuto e inoltre gli fu conferita la cittadinanza onoraria.
Inoltre ad Aprilia, pochi chilometri da Anzio, è stato costruito un monumento nel punto in cui suo padre perse la vita con su scritto le ultime tre frasi che Roger pronuncia sul finale di Two Suns In The Sunset : “Ashes and Diamonds, Foe and friend, we were all equal in the end”-“Ceneri e diamanti, amici e nemici, siamo tutti uguali alla fine”.
È la fine di Eric Flechter Waters, che il figlio Roger racconterà nella canzone When the Tigers Broke Free, trasformata poi in immagini nel film The Wall diretto da Alan Parker: “Così gli alti comandi – recita l’ultima, polemica strofa – hanno strappato da me mio padre”
Oltre alla vicenda del padre, Roger critica le vicende avvenute sulle isole Falkland e il governo Tatcher , riprendendo alcuni personaggi e situazioni dall’album di The Wall che erano state scartate durante le registrazioni.
Questa unione di idee, permisero a Waters di proporre ai propri colleghi David Gilmour e Nick Mason di collaborare velocemente per realizzare un album dai feroci toni politici e delicate atmosfere malinconiche sul passato. C
ome già detto però all’inizio di questo articolo, Waters voleva il controllo totale del progetto e così fu, con non pochi problemi: Gilmour fu segregato a semplice spettatore durante le registrazioni, mentre Nick Mason registrò solo limitate parti ritmate alla batteria e si occupò degli effetti sonori. Il resto fu eseguito da Waters stesso e una vasta gamma di turnisti molti dei quali torneranno a lavorare con lui nel suo primo album da solista The Pros and Cons of Hitch Hiking del 1984.
Pochi mesi dopo l’uscita Roger Waters decide di lasciare ufficialmente i Pink Floyd definendoli ormai “uno sforzo inutile da portare avanti”. Convinto che la sua uscita decretasse la fine della band, la storia vide David Gilmour prendere le redini del gruppo insieme a Nick Mason e il successivo ritorno di Richard Wright.
Perla di rara bellezza è la title track che da il nome all’album. Forse possiamo affermare che questa è la canzone più bella che Roger Waters abbia scritto nella sua carriera da musicista.
The Final Cut doveva essere inserita in The Wall prima di Comfortably Numb. Si tratta di un monologo interiore disperato e lamentoso di un personaggio vissuto solo in compagnia del suo lato oscuro, con uno squarcio nell’animo e un vuoto incolmabile in cui mette a nudo tutti i suoi sentimenti…come se volesse liberare dalla sua mente tutto il suo passato fatto di sofferenze e delusioni personali. La solitudine, la ricerca di affetto e l’isolamento ricordano molto la personalità del personaggio di Pink, protagonista del precedente The Wall
Anche questa canzone si muove su diversi piani musicali, alterando momenti di melodica sonorità per passare a urlate strofe di Waters accompagnato con una melodia molto vicina a quella di Comfortably Numb. Memorabile e degno di nota, l’assolo finale di David Gilmour.
Waters scelse The Final Cut come il titolo dell’album poiché riteneva che il brano contenesse tutte le atmosfere e le inquietudini presenti nell’intera opera.
Tutte le tracce dell’album racchiudono in sè il senso di ribrezzo e rifiuto per ogni tipo di guerra: ad esempio Paranoid Eyes parla di un uomo che torna a casa dopo il secondo conflitto mondiale, totalmente deluso dalle speranze del dopo guerra.
Not Now John è l’unico ad essere cantato anche da David Gilmour, oltre che da Waters. La canzone si differenzia da tutte le altre per la presenza costante della chitarra elettrica e alcuni interventi delle coriste e dell’organo Hammond.
La canzone è una critica alla guerra (in particolare la guerra delle Falkland), al primo ministro britannico Margaret Thatcher, così come, più in generale, all’avidità e alla corruzione. Il nome John rappresenta un generico interlocutore ed è di uso comune nella lingua inglese utilizzarlo per riferirsi a un interlocutore del quale non si sa il vero nome.
Nella canzone si sente la voce di Waters urlare la frase in italiano “Scusi dov’è il bar?” (così come in The Fletcher Memorial Home), seguita da “Se para collo pou eine toe bar” e “S’il vous plaît où est le bar?”, rispettivamente in greco e francese, e infine in inglese “Hey, where’s the fucking bar, John?”.
Nonostante il senso di smarrimento sia discografico che emotivo dell’album, tutt’oggi viene ascoltato da moltissimi fan del passato e anche dalle nuove generazioni, a riprova che la musica dei Pink Floyd rimarrà sempre attuale finchè non verranno abbattuti tutti quei muri di cui Roger Waters parla nelle sue canzoni; e più passa il tempo più i muri continuano ad innalzarsi sopprimendo sempre di più la libertà di pensiero dell’essere umano.
Fu pubblicato anche un medio-metraggio EP di circa 20 minuti che comprendeva i video di 4 brani dell’album (disponibile su YouTube). Purtroppo non seguì alcun tour dell’album.
E’ semplice capire il motivo per cui i membri dei Pink Floyd non sono affezionati a The Final Cut, sembra una coincidenza, ma anche il titolo stesso dell’album sembrava preannunciare una prossima rottura dei Pink Floyd e quei muri tanto condannati da Waters si innalzarono tra i vari membri della band.
Lo stesso Roger Waters non è soddisfatto di questo album, afferma che sia pieno di errori e secondo “la maggior parte delle canzoni sono state aggiunte per allungare il brodo per evitare che l’album fosse troppo corto”.
Chissà cosa sarebbe potuto uscire fuori se avessero corretto “tutti questi errori” di cui loro parlano, ma a noi piace anche così…