#TellMeRock, i quarantadue anni di The Hurting, il disco d’esordio dei Tears For Fears

EDITORIALE – The Hurting  è il disco di esordio dei Tears for Fears, pubblicato il 7 marzo 1983 per la Phonogram Records.

Spinto dal successo di diversi singoli molto popolari per il duo, e cioè Mad World, Change e Pale Shelter, l’album ottiene un immediato successo di pubblico, arrivando alla posizione numero uno della classifica inglese due settimane dopo la sua pubblicazione e rendendo dall’oggi al domani Roland Orzabal e Curt Smith due dei musicisti più noti e celebrati dell’intera scena new wave degli anni 80.

Dopo il 1977, il punk aveva cominciato a contaminarsi con più generi, accogliendo le influenze più disparate: dal reggae (The Clash, The Police) al funk (Gang of Four) all’elettronica (Gary Numan, Depeche Mode), finendo poi per coinvolgere anche artisti del rock classico come David Bowie e Peter Gabriel (quest’ultimo molto influente per i Tears for Fears) e generando sottoculture molto popolari come quella goth (Siouxsie and the Banshees, The Cure).

I Tears for Fears vanno ad inserirsi prepotentemente in questo panorama con un album, The Hurting, che ne riprende diversi stili caratteristici, ma li coniuga a seconda delle esigenze artistiche del duo. Vi compaiono infatti elementi di gothic rock, caratterizzati da trattazione di traumi, paure e incertezze, e da toni cupi e intenzionalmente “deprimenti”, ma anche synthpop, genere invece basato sull’uso intensivo di tastiere, sintetizzatori e ritmi elettronici generati digitalmente. La formazione più “rock” del duo si incontra anche con un background mod (sottogenere musicale e culturale inglese che retrodata agli anni ’60), sperimentato dai due nel loro gruppo precedente, i Graduate.

Inoltre, anche se The Hurting non si può considerare un vero e proprio concept album, è innegabile che il titolo (il quale può essere inteso in vari modi: la ferita, il dolore, l’atto del ferire) ne riassume il contenuto in un filo conduttore, che è quello appunto della sofferenza. In particolare, Roland Orzabal e Curt Smith prendono ispirazione, a partire dal nome stesso del gruppo, dalle teorie dello psico-terapeuta Arthur Janov, il quale sosteneva che per curare disfunzioni mentali e psicosi dell’individuo si debba scavare tra i traumi e i drammi infantili, in maniera da “sciogliere” dei nodi irrisolti rimasti legati dentro la persona per anni.

Mettendoci del suo, traendo ispirazione dalle proprie esperienze d’infanzia, è soprattutto Orzabal il principale compositore e leader de facto del gruppo, ad indirizzare quasi tutte le canzoni in questa direzione.

Mad World (Pazzo mondo) è certamente la canzone più famosa dei Tears for Fears di questo periodo, anche grazie alla versione cover del 2001 inserita nella colonna sonora del film di culto Donnie Darko. Si tratta della composizione più cupa e nichilista del disco che, come suddetto, tende ad esplorare traumi e sofferenze dell’infanzia per poi ri-collegarli ad alienazione e paure dell’età adulta. Musicalmente il pezzo utilizza la medesima formula che ricorre per tutta la tracklist del disco: sintetizzatori, tastiere, percussioni elettroniche computerizzate, una sequenza di accordi semplice ed una melodia accattivante. Il cantato di Curt Smith si rivela particolarmente adatto a questa traccia, nell’interpretare con toni struggenti e lacrimosi una poesia musicale profonda e fortemente emotiva, che viene però adattata ad uno stile anche estremamente orecchiabile. Il testo della canzone fornisce delle immagini abbastanza chiare e lampanti, che girano tutte attorno alle diverse concezioni della sofferenza, come da titolo dell’intero lavoro. Nello specifico, qui il compositore/narratore (Orzabal) sembra volersi soffermare sul rapporto difficile e insicuro che l’individuo alienato intrattiene con il mondo attorno a sé e con le figure che lo circondano, viste immancabilmente come negative e pericolose.

Anche le altre canzoni del disco girano sempre intorno a concetti come sofferenza, introspezione, solitudine, alienazione, difficoltà di comunicazione, paura del cambiamento, e così via.

Pale Shelter è una delle canzoni che più riportano le esperienze personali dell’autore Orzabal, ossia ciò che egli ha vissuto durante un’infanzia solitaria, nella quale il sostegno dei genitori, pur essendo presente, non si traduceva mai in affetto sincero. Tali emozioni sono affidate ad una canzone molto energica, un vero e proprio sfogo, nel quale un elemento come la chitarra acustica, che ricorre di continuo in contrasto con tastiere e synth, simboleggia tutta la forza introspettiva che l’artista ha voluto inserire nella composizione. Pale Shelter è anche uno dei pezzi più “pop” del disco, orecchiabile, danzabile, coinvolgente, e questo nonostante la natura meditativa delle parole. Il “rifugio pallido”, nell’interpretazione qui fornita, è appunto la casa nella quale il narratore (un bambino) vive con i genitori; oppure, per estensione, la loro stessa presenza. Si tratta effettivamente di un rifugio, di un riparo, sì; però è pallido in quanto “freddo”, privo di emozioni, indifferente. Come, insomma, lo è la presenza di una mamma e di un papà che è solo questo: presenza, priva di quella vicinanza emotiva e di quella partecipazione morale della quale ogni figlio ha bisogno.

Suffer the Children  è un altro caratteristico numero new wave, nel quale i Tears for Fears si dedicano ad un arrangiamento leggermente più “rock”, dato soprattutto dalla presenza delle chitarre nel refrain e dell’ottimo assolo sul finale. Per il resto, la canzone si caratterizza ancora come una sequela di cadenze electo-synth, decorate più che adeguatamente dalla voce di Orzabal, che qui è tra l’altro più sincero e auto-biografico che in ogni altra canzone del disco. Senza fare troppi giri di parole, l’artista parla dell’abbandono infantile, e di cosa succede quando un figlio viene lasciato a sé stesso in assenza dei genitori. Un tema, come si vede, del tutto congruente a quello trattato nella sopra citata Pale Shelter, cosa che non deve affatto stupire: quello dei traumi infantili è un leitmotiv che ricorre per tutta la prima fase della carriera del duo, per i motivi sopre spiegati. Qui la narrazione di Orzabal si fa assolutamente onesta e diretta, e descrive esperienze semplici ma segnanti. Differentemente da Pale Shelter, in Suffer the Children il cantante intavola una discussione che coinvolge direttamente i genitori (o il genitore, visto che vi si riferisce al singolare), muovendo accuse ma anche cercando di comprendere i suoi motivi.

Change, altra icona del duo britannico, arriva come ottava traccia di The Hurting, ed è un altro della sequela di successi precedentemente pubblicati come singoli dai Tears for Fears tra il 1982 e il 1983. Si tratta di una canzone dai tratti più post-punk che new wave (anche se, in questo disco, il confine viene sempre mantenuto sottile), e che comprende bizzarramente alcune sonorità, suonate su (o meglio imitazione di) xilofono, che richiamano la musica tradizionale giapponese. Anche i due bridge della canzone, ognuno a suo modo, sembrano abbastanza scostarsi dall’essenzialità pop di altre canzoni della tracklist, coinvolgendo derive strumentali brevi ma significative. Come tematica, anche questo testo preferisce non trattare delle sofferenze dell’infanzia, ma parlare di qualcosa di ben più complesso come l’idea del cambiamento, dividendo il protagonista/narratore in due diverse forme che vengono confrontate in una sorta di dialogo allo specchio. In queste liriche il cambiamento non viene visto per forza come qualcosa di positivo o di negativo, ma piuttosto come un motivo di complicazione e fonte di ulteriori dilemmi esistenziali.

The Hurting, ancora oggi a poco più di quarant’anni di distanza, è un disco dal fortissimo potere emotivo, che d’altra parte non si risparmia nel voler esprimere ogni sentimento, se pur attraverso illuminate metafore ed allegorie, in maniera comunque diretta e molto personale. Un’energia che viene trasmessa appieno anche grazie, un po’ per paradosso, alle sonorità fortemente commerciali e ai ritornelli molto invitanti che il duo sa inventare.

Laddove la musica “pop”, da radio, è tradizionalmente legata a temi leggeri, come l’amore (corrisposto, tendenzialmente) e il divertimento, qui invece i Tears for Fears non hanno paura di invertire questo schema, affidando le proprie riflessioni esistenziali a refrain accattivanti, melodie semplici da memorizzare subito, e ritmiche che fanno sottilmente l’occhiolino alla dance e alle discoteche. Tutta una serie di elementi che se da un lato allineano perfettamente The Hurting alla regolare produzione new wave in un anno come il 1983, dall’altro lo rendono un lavoro a sé, particolare e a tratti atipico, che infatti si pone come base di una crescita musicale notevolissima che giungerà solo pochi anni dopo e che si rivelerà tanto inaspettata quanto fortunata, in termini di vendite, di successo, ma anche di traguardi artistici.

Di questa evoluzione The Hurting costituisce il punto di partenza, il momento in cui davvero inizia la storia di uno dei gruppi simbolo degli anni ’80 e, piaccia o meno, di un’intera era musicale.

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