#TellMeRock, i quarantadue anni di The Number Of The Beast: la svolta degli Iron Maiden sulla storia del metal

EDITORIALE – i primi anni 80 segnarono la nascita della New Wave of British Heavy Metal, con gruppi importanti del calibro di Saxon, Motorhead, Def Leppard e Judas Priest, solo per citarne alcuni

Odiati da qualcuno e adorati da intere schiere di fan gli Iron Maiden si impongono come punto di riferimento assoluto di questo nuovo movimento, concentrando in The Number Of The Beast, pubblicato il 22 marzo di quarantadue anni fa, la svolta verso un heavy metal ripulito da suoni più hard rock (che finirà per perdersi, alla lunga, in un artificioso gioco da opera barocca). Ne esce un album che, assemblato sotto la guida fondamentale del produttore Martin Birch (già con i Deep Purple), in 8 brani traccia le coordinate di buona parte del classic metal di metà anni 80.

È il primo disco di Bruce Dickinson, con la cui voce si dovranno confrontare molti fan della prima ora.Durante il concerto di Roma del giugno 2007, ricordo che assistetti incredulo a due ragazzi (di tenera età) che quasi si uccidevano discutendo di chi valga di più tra Bruce e Paul Di Anno. Polemica sterile ed inutile a mio modesto avviso. La prima voce degli Iron Maiden è autrice dei due dischi d’esordio (escludendo demo e registrazioni varie) e si avvicina male allo sterminato lavoro del periodo successivo. Che una voce possa piacere più di un’altra è legittimo, ma pensare a tutta la produzione post-Di Anno con un’impostazione vocale diversa sarebbe impossibile.

Il numero della bestia è una delle prove migliori di Steve Harris (fondatore del gruppo e autore di quasi tutte le canzoni del disco). Col suo basso salirà sulla pedana del direttore d’orchestra e dirigerà, senza mostrare fatica o forzature, sessioni ritmiche che ad oggi restano senza grandi paragoni.

È un disco certamente unico, anche se ritenerlo completo rischia di passare per esagerazione. Al di là della cieca adorazione che spesso circonda almeno metà delle tracce, esistono dei punti bassi (come spesso capita se si prendono in considerazione opere complessive degli Iron).

Il pezzo di apertura (Invaders) è una cavalcata che arriva come una fiammata, pronta a lasciare dietro di sé ogni polemica (è una svolta musicale, non c’è da perdersi in chiacchere). Introdotti in Inghilterra con l’invasione vichinga tocca alle presentazioni e Bruce ipnotizza il metallaro di turno con un lento alternarsi di aggressività e armonia.

Children Of The Damned è storia, un manuale dell’heavy metal, che percorre uno schema che diventerà più che abusato (da parte degli Iron Maiden stessi), ma mai eguagliato nell’esecuzione. Al solito le citazioni abbondano; sono pochi i gruppi musicali che ti permettono di sostenere metà del programma di letteratura inglese (alle superiori) citando continuamente loro canzoni. Qui è il caso di un film tratto da un libro di  Wyndham.

https://youtu.be/3OzAo1lsvr8

Le facili melodie di The Prisoner (omaggio a una serie TV inglese) sono eccessivamente facili, per quanto coinvolgenti, e si passa senza grossi rimpianti a 22 Acacia Avenue, che prosegue la saga della prostituta Charlotte (iniziata in Iron Maiden del 1980 con Charlotte in the Harlot). In primo piano il lavoro ritmico delle chitarre e della voce, che accompagna in un clima suggestivo e quasi nostalgico.

https://youtu.be/T5WpPLRrhac

Per aprire la canzone che dà il titolo all’album (il recitato iniziale è una diretta citazione biblica) Vincent Price, che da lì a poco sarebbe stato una delle voci di Thriller di Michael Jackson, chiese la modica cifra di 25.000 sterline, portando Harris ad accontentarsi di un imitatore. Il testo e la struttura sono una sorta di attrazione fatale. Non vale la pena soffermarsi a discutere, basterebbe ritrovarsi circondati da una folla oceanica per farsi entrare dentro il ritornello del 666. Da qualcuno ritenuto pezzo fancazzista è invece puro Iron Maiden. Niente di complicato o mistico, semplice e diretta, nel testo come nella musica. Sono gli ingredienti che li rendono tra i più amati gruppi del pianeta.

https://youtu.be/WxnN05vOuSM

Il vero apice di Bruce Dickinson arriva comunque in Run To The Hills, primo singolo estratto e mio primo pezzo dei Maiden ascoltato verso i quindici anni, cui molto è dovuto, quanto meno a livello commerciale. Le vicende indiane sono argomento di Harris che si piazza in prima linea a stuzzicare le sue corde. È una di quelle canzoni (come Master of Puppets dei Metallica) che reclama di uscire dalla sala di registrazione, o almeno lasciarsi cantare a squarciagola.

Gangland e Total Eclipse restano oscurate quasi del tutto dagli altri pezzi, forse troppo, ma è difficile apprezzarne la scarsa originalità. Che sia una strategia per calmare l’ascoltatore prima della chiusura? 

Hallowed be Thy Name è ritenuta da molti la miglior canzone degli Iron. Atmosfere uniche e songwriting da brividi. Le campane più famose (dopo o insieme a quelle di AC/DC e Metallica). Secondo Malebranche non esistono parole per descrivere la perfezione, perché ciò che supera il limitato linguaggio non merita di essere intrappolato. Se delle precedenti 8 tracce si può discutere qui ci si può solo lasciar trascinare. È il Padre Nostro del metal d’inizio anni ’80. La produzione contribuì in modo sostanziale a dare corposità al suono e il primo posto in classifica inglese decreterà l’inizio della leggenda.

https://youtu.be/HAQQUDbuudY

Più epico e barocco dei precedenti, The Number of the Beast stabilì semplicemente un nuovo canone, un nuovo punto di riferimento che stimolò un intero movimento ad evolversi verso lidi più maturi, talvolta anche per distaccarsi dallo stile della band e trovare forme espressive proprie, risultando in tal modo assolutamente imprescindibile sia per la storia del gruppo che, cosa più importante, per l’heavy metal tutto.

Non sono molti i dischi a poter vantare simili pregi…