#TellMeRock, i quarant’anni di Ride The Lightning: i Metallica e la loro svolta sociale e musicale

EDITORIALE – Il 27 luglio di 40 anni fa, non solo i Metallica pubblicavano un album grandioso e fondamentale per la svolta del metal, ma per la prima volta, nella loro storia, impiantarono nei propri testi e nelle loro melodie le tematiche sociali e politiche dell’epoca, facendo così i paladini non solo di sé stessi, ma di una intera nazione, gli Usa, in cerca di identità e portavoce sociali.

Ride the Lightning segna il passaggio del gruppo dalle tipiche tematiche metal dell’album precedente ad altre più mature e politiche. Vari sono gli argomenti trattati come la pena di morte (Ride the Lightning), il suicidio (Fade to Black),esperimenti scientifici (Trapped Under Ice), piaghe bibliche (Creeping Death) e avventure letterarie (For Whom the Bell Tolls), decisamente anomale per un gruppo thrash metal di quei tempi.

Si tratta, inoltre, dell’ultimo disco pubblicato con la Megaforce Records, dopodiché il gruppo firmò per la Elektra Records il 12 settembre dello stesso anno, la quale ripubblicò il disco il 19 novembre.

Il disco è anche l’ultimo in cui compare il chitarrista Dave Mustaine nei crediti delle canzoni dopo essere stato cacciato dai Metallica: il suo nome appare infatti in Ride the Lightning e in The Call of Ktulu. Quest’ultimo è un brano strumentale dedicato allo scrittore horror Howard Phillips Lovecraft ed era originariamente intitolato When Hell Freezes Over.

“Ride The Lightning” è per ciò meno dinamico e tagliente del primo album, a vantaggio dell’imponenza e della mole dei brani, che diventano anche più articolati, complessi ed opprimenti. È questo il principale fattore dell’evoluzione dei Metallica; nasce qui il loro caratteristico tema musicale, che avrà ulteriori sviluppi dei successivi tre dischi. La poetica del gruppo, se così si può chiamare, è quella del martellare l’ascoltatore fino a sottometterlo, in modo da creare una sorta di piacere masochistico. Di qui in poi, sarà questo il credo della band, suonare pesanti ed opprimenti; il giro di chitarra di “Enter Sandman” sarà la parola definitiva a questa rincorsa verso l’oscuro, verso suoni sempre più granitici e lugubri.

In questo senso, “Fight Fire With Fire” è un caposaldo irrinunciabile; ritmica serrata e chitarre tumultuose che ergono imponenti muraglie di distorsioni, su cui si staglia il canto truculento e psicotico di Hetfield. Da evidenziare anche il cambiamento di timbro vocale del cantante, molto più metal di prima.

Si nota un buon miglioramento anche sotto il profilo più intellettuale e all’avanguardia; “Ride The Lightning”, la nuova epopea di 7 minuti del gruppo, è molto più rifinita e dosata di “Four Horsemen”, soprattutto nel tratteggiare sfumature di suono sottili, ma estremamente efficaci; una nota variata, un lieve cambio di tempo, un assolo messo al momento giusto. Tutto ciò contribuisce ad elevare non di poco il livello qualitativo della band che ripaga la sua tecnica con una fertilità di songwriting e una brillantezza di temi melodici inarrivabili per la maggior parte delle metal band. La Tematica triste è controversa della Pena di morte, piaga americana di alcuni Stae che ancora oggi fa discutere.

Non è sempre necessario che le canzoni siano complesse per essere grandiose; “For Whom the Bell Tolls” ne è la dimostrazione. Un brano semplice, lineare, ma incisivo e coinvolgente come pochi altri. For Whom the Bell Tolls prende spunto dal romanzo Per chi suona la campana di Ernest Hemingway, nel quale cinque soldati repubblicani della Guerra civile spagnola cercano di sfuggire dai fascisti con i loro cavalli e sono poi uccisi da un aereo nemico su una collina.

L’introduzione cromatica del brano, solitamente riconosciuta come suonata da una chitarra, è in realtà prodotta dal basso di Cliff Burton, il cui suono è stato modificato con un wah wah e un overdrive. Dal vivo, Burton era solito iniziare con un assolo di basso per poi passare al riff iniziale del brano.

Stesso discorso si può fare per “Trapped Under Ice”, il brano che più ricorda lo speed metal, molto meno articolato degli altri, ma perfettamente inserito nel contesto e ricco di pathos.

“Creeping Death” è la classica calvacata a rotta di collo, una corsa senza soste e senza rimorsi. Puro distillato dell’essenza del gruppo, Creeping Death accenna alle dieci Piaghe d’Egitto, nonostante il testo ne riporta più di dieci. Verso la fine del secondo verso vengono nominate quattro piaghe: «Blood, running red and strong down the Nile. Plague, darkness three days long, hail to fire» (Sangue, corre rosso e intenso, lungo il Nilo. Peste, tenebre per tre giorni, grandine di fuoco)

La sezione intermedia del brano presenta l’esclamazione «Die!» ripetuta più volte dall’allora bassista Cliff Burton (il quale esegue anche i cori del ritornello finale) accompagnata da una violenta progressione delle chitarre di Kirk Hammett e di James Hetfield. Durante le esecuzioni dal vivo del brano, questa sezione viene allungata fino a lasciar spazio alla batteria e al basso mentre i fan vengono incitati dal gruppo a ripetere “Die!”. Inoltre, nel periodo in cui militava nei Metallica, il bassista Jason Newsted, durante alcuni concerti, era solito cantare per intero la canzone.

I due brani manifesto del disco sono tuttavia “Fade To Black” e “The Call Of Ktulu”. La prima è la madre di tutte le ballate targate Metallica, ed anche la migliore.

Fade to Black parla di depressione, suicidio e della mancanza di qualcosa che crea vuoto dentro di sé. In realtà, sebbene la poeticità del testo possa far pensare a motivi molto personali, l’ispirazione che ha dato vita al brano è il furto di tutto l’equipaggiamento del gruppo avvenuto a Boston il 14 gennaio 1984.

Secondo il gruppo, Fade to Black gioca un ruolo chiave per la riuscita dell’intento artistico che i Metallica stavano tentando di perseguire con Ride the Lightning. Ciò che venne ricercato era infatti la dinamicità, ottenuta con il contrasto nell’accostamento di pezzi veloci e lenti.

Un delicato intro folk, intrecciato alla sublime chitarra di Hammett, ci porta in una dimensione parallela, piena di commozione e sentimento, sentimento puro e sincero. La melodia cantilenante esplode poi in un fragoroso finale catartico, ma ciò che veramente incanta di questo brano è il continuo incrociarsi di chitarre acustica ed elettrica, a cui corrispondono stati d’animo diversi, riflessivo e pensoso l’uno, sanguigno e commosso l’altro. Il finale è lasciato allo splendido assolo di chitarra, da consegnare direttamente alla storia.

Totalmente diversa è “The Call Of Ktulu”, una “partecipata” strumentale che fluttua nell’aria, deflagrando nella psiche dell’ascoltatore. La perizia nel dosare le distorsioni e sfumare i suoni è qui a livelli eccelsi. Una serie di trovate geniali, come i due assoli che si susseguono, ma con un tempo diverso rispetto a quello di batteria, o la chitarra che lavora in antitesi a quest’ultima e poi si fonde, gonfiando a dismisura il volume di suono, che si fa sempre più monumentale.

Ed ancora, gli stacchi ritmici che affossano questa enorme impalcatura e permettono al brano di ripartire ancora più sferragliante, per non parlare del riff di chitarra che incornicia il pezzo, assolutamente geniale.

In conclusione, questo disco è uno dei capisaldi del metal, meno seminale ed istintivo di “Kill ‘Em All”, ma ricco ed innovativo come pochi altri dischi del genere. Segna un grande sviluppo nel suono dei Metallica che, dopo questo lavoro, non avrà più così grandi stravolgimenti, ma certosine rifiniture..

“Ride The Lightning” è quindi uno snodo cruciale nella carriera della band e nel panorama del metal e del rock tutto.

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