EDITORIALE – Questa copertina in particolare, come tutto il disco, del resto, sono diventate storia e patrimonio del rock. Si, perchè dietro i quarant’anni del disco più italiano di Frank Zappa, ci sono storie e aneddoti che ancora oggi sono immortali e degne di essere raccontate per generazioni.
Contemporaneamente alle registrazioni orchestrali con la London Synphony Orchestra, il 28 marzo del 1983 Zappa diede alle stampe The Man From Utopia, quello che, a detta di tutti e come ho già detto, è il disco più italiano del compositore. Già, poichè a partire dall’artwork (disegnato da un italiano: Tanino Liberatore) dove è raffigurato il genio di Baltimora ipertrofizzato in piena caccia a delle mosche, i riferimenti nello stesso artwork al nostro Paese sono molteplici: dai cartelli stradali, allo striscione calcistico, al Papa in prima fila…va ricordato che Zappa l’anno precedente fece una tournée proprio Italia nel bel mezzo dei mondiali calcistici. Tour che lo portò persino a suonare, come si vede sempre in copertina, persino al laghetto di Redecesio di Segrate dove, molti testimoni presenti al concerto, affermano di essere stati “mangiati dalle zanzare” (quindi ecco, secondo me, la paletta scacciamosche a cosa fa riferimento sul disco).
Anche in questo lavoro, Zappa, come era suo solito fare da sempre, si è avvalorato della collaborazione di musicisti di talento spropositato, dai batteristi Wackermann e Colaiuta, alle fidate tastiere di Tommy Mars e Bobby Martin fino ad arrivare ad un giovane e talentuoso chitarrista di ventitré anni che rispondeva al nome di Steve Vai e, nonostante la durata più contenuta dei brani e del risultato finale in generale, i temi toccati sono sempre quelli cari a Frank: sesso, satira contro tutto e tutti in particolar modo contro il mondo americano in genere.
Musicalmente parlando l’album è una sorta di continuum ideologico di Sheik Yerbouti, in quanto non mancano le sperimentazioni in studio nonché le esplorazioni ritmiche su idee come sincopi e ritardi voluti ed una certa accessibilità alla propria musica.
Tra i temi di maggior accusa trattati nell’album troviamo Cocaine Decision, una dura e satirica presa di posizione verso i consumatori di cocaina che rivestirono un ruolo decisionale in quanto poteri forti della società americana.
Così come Stick Together in cui invece il bersaglio sono i sindacalisti americani accusati di favorire solo se stessi ed in particolar modo i “vertici” di tali sindacati.
Per quanto riguarda le sperimentazioni musicali vere e proprie possiamo trovare Tinks Walk Amok, una sorta di medley di due brani dello stesso Zappa: Thirteen e Atomic Paganini mentre, il fiore all’occhiello del disco è sicuramente The Dangerous Kitchen dove la parte vocale interpretata da Frank viene ribattuta e suonata identica dalla chitarra di Steve Vai il tutto a creare un incredibile brano di jazzistica libertà concettuale ed esecutiva.
Per ritrovare invece il compositore inarrivabile quale il genio di Baltimora era, basta ascoltare il brano di chiusura dal titolo We Are Not Alone, a detta di molti una delle sue migliori composizioni strumentali.
Sebbene per i più The Man From Utopia probabilmente non sia il punto più alto della discografia zappiana (il disco probabilmente servì ad autofinanziarsi le registrazioni con la LSO, per realizzare il suo sogno di registrare la propria musica con un orchestra da lui diretta) rimane un album di una freschezza e fluidità assolute, le idee musicali e le sperimentazioni non mancano, anzi, il carattere di Zappa innovativo, visionario ed eclettico viene fuori in modo grandioso e resta, a tutt’oggi, dopo quarant’anni, un’opera che racchiude e riassume tutto ciò che può delineare sommariamente lo sconfinato universo zappiano.