EDITORIALE Quarantaquattro anni e non sentirli, un detto che ben si sposa con un lavoro che potremmo definire a dir poco storico. Stiamo parlando di “Sono solo canzonette”, il settimo disco in studio di Edoardo Bennato, rilasciato il primo aprile del 1980. Un vero e proprio concept album ispirato al noto personaggio di Peter Pan, creato dalla penna dello scrittore scozzese James Matthew Barrie.
Con l’uscita di questo progetto, il cantautore partenopeo diventa il primo artista al mondo ad aver pubblicato due progetti a distanza ravvicinata di soli quindici giorni rispetto al precedente disco “Uffa Uffa”, un primato che verrà eguagliato dodici anni dopo anche da Bruce Springsteen (La famosa doppietta Lucky Town e Human Touch). “Sono solo canzonette” diventa il disco italiano più venduto dell’anno, secondo solo al mastodontico “The Wall” dei Pink Floyd.
Come già accaduto nel ’77 con “Burattino senza fili”, progetto in cui ha ripercorso la storia di Pinocchio (tra cui ricordiamo la celebre “Il gatto e la volpe”), anche le tracce di questo album cercano di riassumere una serie di morali tipiche delle favole, adattandole al nostro quotidiano. Il risultato? Un disco illuminante, in cui l’artista si traveste da vari personaggi per raccontare se stesso, in quanto essere umano.
Ad impreziosire l’intero progetto, oltre alla celeberrima title-track, sono principalmente “L’isola che non c’è” e “Il rock di Capitano Uncino”, due canzoni che mettono in risalto quelle che possiamo considerare le anime più note di Bennato, vale a dire quella cantautorale e quella più rockeggiante. “Nel covo dei pirati”, “Rockoccodrillo”, “Ma che sarà…“, “Dopo il liceo che potevo far“ e “Tutti insieme lo denunciam”, non fanno altro che impreziosire il racconto, rendendolo fluido ed omogeneo.
In tal senso, “Sono solo canzonette” è il manifesto di un movimento politico-culturale che non invecchia e non passa di moda col trascorrere del tempo. Motivetti spensierati e melodie più ricercate, fanno da tappeto alla poetica nuda e cruda di Edoardo Bennato, abile nel suo essere esplicito pur ricorrendo all’uso di metafore e di riferimenti estemporanei, fantasiosi ma mai banali, denunciando il malcostume, mettendo sullo stesso piano sia le vittime che i carnefici.